Sant’Eustorgio – basilica paleocristiana il cui monastero ospita il Museo Diocesano – è un must nella visita di Milano. Ciò per molti motivi, tra cui l’inaspettata presenza di capolavori agli antipodi per epoca e concezione ma tutti assolutamente emozionanti.
La Cappella Portinari con l’Arca di San Pietro Martire è il più noto, ma le sale che il Museo Diocesano dedica a Giacomo Manzù e a Lucio Fontana vanno assolutamente visitate.
Sant’Eustorgio: Cappella Portinari e Arca di San Pietro Martire
Il monumento funebre di San Pietro Martire, ovvero l’arca realizzata da Giovanni di Balduccio (1336-1339) in marmo bianco di Carrara, merita un posto tra le sculture più significative del primo

Rinascimento. Complessa nella rappresentazione teologica e nelle otto scene della vita di San Pietro Martire, meravigliosa per proporzioni ed esecuzione, si lascia guardare dallo spettatore incantato mai sazio della sua bellezza.
La scenografia in cui si colloca è, però, anch’essa importante. Infatti, racconta uno spaccato di Rinascimento tutto fiorentino ed il rapporto tra i centri culturali di quel tempo. La Cappella Portinari deve il suo nome a Pigello Portinari, rappresentante di quella importante famiglia di banchieri fiorentini che coadiuvava i Medici nella gestione del loro impero finanziario. Infatti Pigello Portinari (1421-1468) era a Milano per gestire la filiale meneghina del banco mediceo.
I Portinari erano banchieri ma anche umanisti, forse per vocazione ma certo per rappresentazione del proprio status. Così Pigello, tra il 1462 ed il 1468 edificò questa cappella per accogliere la sepoltura sua e della sua famiglia. Di impianto fiorentino (richiama la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo del Brunelleschi) incorpora però stilemi milanesi (pietra e cotto). A decorarla un grande lombardo, Vincenzo Foppa, che vi dipinse (1468) storie della vita di San Pietro Martire, un’Annunciazione ed una Assunzione della Vergine.
La cupola a scaglie policrome, a rappresentare la luce divina, dona un colpo d’ali alla cappella ed è gran fondale per l’arca.
I Portinari tra Bruges, Milano e Firenze
Tommaso Portinari (1428-1501), fratello di Pigello, gestiva a sua volta la filiale di Bruges del banco mediceo. Fu banchiere di successo e, nella gestione del sistema economico che aveva creato nelle Fiandre, gli succedettero proprio i figli di Pigello, Folco e Benedetto.
L’importanza dei Portinari, dal punto di vista della storia dell’arte, è rilevante almeno per due ragioni. Il primo è la Cappella Portinari, voluta da Pigello. Il secondo è perché Tommaso, Folco e Benedetto furono tutti e tre committenti di grandi artisti fiamminghi dell’epoca: Hugo van der Goes (il Trittico Portinari è oggi alle Gallerie degli Uffizzi) e Hans Memling.
Per Tommaso Portinari, Memling dipinse due capolavori. La Passione (Galleria Sabauda, Torino) ed i ritratti suo e della moglie (Metropolitan Museum, New York). Proprio i Portinari furono strumentali nel mettere in comunicazione gli artisti fiamminghi con i loro coevi fiorentini. La loro storia è ben illustrata da Federica Veratelli nell’articolo “I Clienti Italiani di Hans Memling”.
Manzù e Fontana al Museo Diocesano di Milano
In un magnifico contrasto con la Cappella Portinari, dirigetevi adesso al Museo Diocesano (ospitato nel monastero di Sant’Eustorgio) ed alle sale dedicate a Giacomo Manzù e Lucio Fontana.
Di Giacomo Manzù il Museo Diocesano di Milano possiede diverse opere. In primis, un Paolo VI (S.E. Montini fu Arcivescovo di Milano) straordinario. L’opera si insinua nell’animo del pontefice e lo ritrae tagliente, le lunghe dita affusolate inquiete, il viso tirato. L’espressione lo fa sembrare quasi più preso a guardare dentro se stesso che a rapportarsi con l’altro. Una colomba di pace gli si è come posata vicino alle mani.
Il ritratto di Paolo VI non vi lascerà indifferenti: rappresenta formidabilmente la statura intellettuale e teologica di questo papa.
La sala dedicata a Lucio Fontana ospita una Via Crucis in cui le stazioni sono rappresentate entro piccole formelle dalla intensità formidabile. Poi ci sono i gessi presentati dal maestro nel 1950 in occasione del concorso per la quinta porta del Duomo. Lucio Fontana vinse quel concorso ma nel 1952 rinunciò alla realizzazione per le incertezze del committente. La forza di queste opere, sebbene bozzetti, è semplicemente prorompente.
Uno dei due lati corti è poi monopolizzato dal bozzetto della Pala della Vergine Assunta realizzata da Fontana sempre per il Duomo nel 1955 ma poi mai eseguita nella realtà.
E’ un’opera la cui forza dinamica travalica le parole: è necessario ammirarla con i propri occhi.
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