Per raccontare della Cappella Piccolomini nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli, già Santa Maria di Monteoliveto, è necessario partire dalla storia di quest’ultima. Infatti è proprio in essa che si annidano i motivi che la renderanno l’avamposto del rinascimento toscano a Napoli.
Santa Maria di Monteoliveto a Napoli: la storia
L’avvio della costruzione di Santa Maria di Monteoliveto risale al 1411 su un terreno di proprietà dei monaci benedettini e per volontà del protonotario del Regno di Napoli Gurello Aurilia. La chiesa è affidata alla Congregazione Olivetana, ovvero una costola dell’ordine benedettino. E’ qui essenziale sapere che la congregazione nasce a Siena per opera di san Bernardo Tolomei, di nobile famiglia senese.
Ad abundantiam, deve il suo nome al suo centro spirituale, ovvero il monastero della Vergine di Monteoliveto ad Asciano (sempre nel senese). La storia vuole che il secondo abate di Monteoliveto fosse Ambrogio Piccolomini, esponente dell’antica famiglia senese ed amico dei primi giorni di san Bernardo Tolomei. Per intenderci, parliamo dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore dove, nel Chiostro Maggiore, è custodito il ciclo di affreschi con le Storie della Vita di San Benedetto realizzato da Luca Signorelli e dal Sodoma.

Dunque Santa Maria di Monteoliveto è senza meno qualificabile come un toscanissimo centro religioso in quel di Napoli, forse nato anche come punto d’aggregazione della comunità toscana a Napoli.
Fu con Alfonso I di Napoli (re di Napoli dal 1442 al 1458) che gli olivetani di Napoli acquisiscono slancio e la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto andò trasformandosi in un imponente monastero articolato su quattro grandi chiostri (oggi persi).
Antonio Piccolomini e Maria d’Aragona
Il figlio di Alfonso, Ferdinando I di Napoli ebbe tra la sua numerosa prole una figlia di nome Maria (1443?-1663) la quale divenne moglie di Antonio Todeschini Piccolomini (1435-1495), nipote di papa Pio II (il creatore di Pienza) e fratello di papa Pio III. Già Capitano Generale della Chiesa, ottenne come dote della moglie il titolo di Duca d’Amalfi. Come se non bastasse, ottenne anche di poter aggiungere al suo il cognome della moglie. Così Antonio, nato Todeschini, dopo aver aggiunto (anche per volontà di papa Pio II) il cognome della madre (Piccolomini) al suo, chiuse in bellezza incamerando anche quello della moglie. Divenne così Antonio Todeschini Piccolomini d’Aragona: un piccolo capolavoro di araldica.
Maria d’Aragona morì però di parto giovanissima dando alla luce la terza figlia della coppia e fu per la sua sepoltura che venne realizzata la Cappella Piccolomini in Santa Maria di Monteoliveto oggi Sant’Anna dei Lombardi.
Dunque un marito senese realizza la cappella funebre della moglie in una chiesa officiata da una congregazione monastica di natali senesi e che aveva tra i suoi primi appartenenti un suo antenato, Ambrogio Piccolomini.
A questo punto, non possono che essere toscani anche i maestri chiamati a realizzare opera. E così in effetti è. Ad iniziarla, intorno al 1475, è Antonio Rossellino (1427-1479) ed a terminarla, dopo la morte di questi, è Benedetto da Maiano (1442-1497), esponente di una famosa schiatta di intagliatori e scultori che risiedette a Napoli dal 1485 al 1489.
La Cappella Piccolomini a Sant’Anna dei Lombardi
Fiorentini gli artisti e tutto fiorentino anche il modello. La citazione è cristallina: la Cappella del Cardinale del Portogallo nella Basilica di San Miniato al Monte a Firenze consacrata nel 1466. Qui Antonio Rossellino e il fratello Bernardo operarono da protagonisti. Coincidenza o forse no, anche San Miniato è una chiesa olivetana.
Della cappella di San Miniato la Cappella Piccolomini in Sant’Anna dei Lombardi a Napoli riprende tutto. La struttura generale che vede l’altare sul lato di fondo e sugli altri due lati il monumento funebre da una parte e il seggio con l’affresco dell’Annunciazione dall’altra. Peraltro, tra Firenze e Napoli i lati si invertono ed il monumento funebre si trova così a sinistra a Napoli e a destra a Firenze.
In ambedue i casi, la cappella è a se stante rispetto all’ambiente della chiesa ed in ambo i casi è introdotta da un arco a cassettoni ed impreziosita da un pavimento in stile cosmatesco.
Il monumento funebre di Maria d’Aragona
Colpisce l’identicità dei monumenti funebri costruiti sull’antico modello romano dell’arcosolio, cioè una nicchia caratterizzata da un arco a tutto sesto che accoglie un sarcofago. Nel nostro caso, l’arcosolio mostra però raccolte ai due lati una coppia di tende: cioè l’indicazione che quella che ci appare è una scena teatrale in cui il sipario si è proprio ora sollevato.
Maria d’Aragona giace distesa su un drappo posto sul proprio sarcofago retto agli estremi da due putti seduti in bordo in bordo al sarcofago stesso. Due angeli posti sulla grande mensola alle spalle della defunta reggono altrettanti lumi. L’arco accoglie poi alla sua sommità un tondo sorretto da due angeli che circonda una madonna con bambino benedicente.
Se il monumento funebre di Maria d’Aragona è l’esito elegantissimo di un rinascimento toscano ormai pienamente sbocciato, la Natività che orna l’altare della Cappella Piccolomini non è da meno.
Opera sempre di Bernardo Rossellino la Natività è una prova da maestro ma, personalmente, mi ha lasciato ancor più colpito la corona di angeli danzanti posta a suo coronamento. Siamo intorno al 1475. Firenze è dominata dalla bottega di Andrea del Verrocchio e dagli allievi (Leonardo, Botticelli…) straordinari che la popolano. La scultura si ispira a modelli di leggiadra raffinatezza e questa corona di angeli ne è un esempio.
Ai lati San Giacomo e San Giovanni e due figure di profeti. E poi paraste e capitelli, putti che reggono un lungo festone di frutta e fiori. Anche quando si tratti di elementi puramente decorativi la Cappella Piccolomini non si fa mancare nulla.
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