La Loggia di Galatea a Villa Farnesina, caso raro, custodisce una accanto all’altra le testimonianze di due scuole fondamentali per il Rinascimento italiano. Quella toscana rappresentata da Baldassarre Peruzzi e quella veneta, o veneziana, rappresentata da Sebastiano del Piombo. Entriamo a visitarla.
Farnesina Loggia di Galatea: storia breve
Quando Agostino Chigi costruì Villa Farnesina nel primo decennio del ‘500, la Loggia di Galatea affacciava verso il Tevere. La parete rivolta in quella direzione era infatti aperta e non chiusa come oggi.
A differenza di oggi, l’ingresso alla villa avveniva dalla Loggia di Amore e Psiche aperta in direzione del parco. Attualmente, invece, si entra alla Farnesina in modo opposto. Ovvero dal portone che affaccia sull’antico Giardino Segreto di Agostino. Un luogo appartato riservato al padrone di casa.
Dunque, la Loggia di Galatea è oggi il primo grande spazio a cui il visitatore accede nel suo percorso. Fu anche, invero, il primo ambiente ad essere decorato: Baldassarre Peruzzi avviò la sua opera nel 1510. L’anno dopo, stando alle Vite del Vasari, Agostino Chigi portava a Roma da Venezia Sebastiano del Piombo. A quest’ultimo affidava le lunette immediatamente al di sotto degli affreschi del Peruzzi nonché la grande immagine di Polifemo.
Sempre tra il 1510 e il 1511 Raffaello realizzò l’affresco della ninfa Galatea che da il nome alla loggia. Forse, Agostino Chigi avrebbe voluto dal Sanzio un ciclo più ampio che gli impegni di quest’ultimo non resero possibile. Allo stato delle cose, comunque, non ci è dato saperlo.
Possiamo però affermare che i tre artisti convissero in quegli spazi per un periodo di circa due anni tra 1510 e 1511.
Baldassarre Peruzzi e l’oroscopo di Agostino Chigi
La volta della Loggia di Galatea e la teoria di vele ed esagoni che la circonda sono opera del senese Baldassarre Peruzzi. Al di sotto corrono le lunette dipinte con temi legati alle passioni umane ed ai pericoli connessi di Sebastiano del Piombo. Potete leggere di esse nel dettaglio nell’articolo Sebastiano del Piombo: le lunette della Loggia di Galatea.
Il tema degli affreschi di Baldassarre Peruzzi è l’oroscopo del padrone di casa Agostino Chigi. Questi nacque il 29 novembre 1466 (o il primo dicembre): dunque Sagittario.

L’affresco è un intreccio indistricabile di colti e raffinati richiami decifrabili solo da un astrologo provetto. A noi, fortunatamente, non è necessario dipanare la matassa per poter apprezzare il grande talento del Peruzzi.
Iniziando dal centro la prima scena rettangolare racconta il mito di Perseo che uccide Medusa e successivamente libera Andromeda dalla quale prese il nome la costellazione. La scena accanto narra il mito di Callisto. Questa ninfa, amata da Zeus, al momento della morte si trasformò nella costellazione dell’Orsa Maggiore.
Le Vele e gli Esagoni
Tutt’intorno si alternano affreschi conchiusi in vele ed esagoni. Negli esagoni sono rappresentate le posizioni delle costellazioni rispetto ai pianeti nel giorno della nascita di Agostino Chigi. Mentre nelle vele sono dipinte le costellazioni dalle quali un astrologo potrebbe dedurre l’ascendente di Agostino. Ovvero la Vergine.

Solo a titolo di esempio, guardate l’esagono e le due vele del lato corto della sala. Quello dove nella lunetta di destra si trova la famosa testa di giovane che la leggenda vuole di Michelangelo e la storia dell’arte attribuisce a Peruzzi.
L’esagono ritrae Ercole e il leone Nemeo. Il segno zodiacale al quale si allude è il Leone. La vela a destra simboleggia la costellazione del Cane. La vela a sinistra la costellazione del Cratere. Esattamente dal lato opposto della sala, nell’esagono, è rappresentato il ratto di Ganimede che allude al segno zodiacale dell’Acquario.
E così via fino a contare ventiquattro tra vele ed esagoni.
Anche per gli affreschi astrologici della Loggia di Galatea (come per tutto ciò che viene rappresentato a Villa Farnesina) la scelta dei temi non è casuale. Infatti, il fine ultimo è dimostrare come il successo avuto da Agostino Chigi – forse l’uomo più ricco dei suoi tempi – fosse una predisposizione quasi divina.
Ciò che forse più rileva dal punto di vista della storia dell’arte è invece che la Loggia di Galatea ci offre un confronto diretto tra la scuola toscana e quella veneta. La prima, rappresentata dal Peruzzi, pone particolare attenzione al disegno, la seconda al colore utilizzando quest’ultimo per delineare le forme.
Polifemo e la ninfa Galatea
Il tema di Polifemo e Galatea è trattato attraverso due grandi affreschi posti sul lato interno della loggia. Il primo, Polifemo, è opera di Sebastiano del Piombo (295×225 cm). Il secondo, il Trionfo di Galatea, è opera di Raffaello ed è di analoghe dimensioni.
In realtà i due personaggi non sono lì per caso essendo diretto il riferimento alla vita di Agostino Chigi. Infatti, nel 1508 muore Margherita Saraceni prima moglie di Agostino.
Due anni dopo questi conosce Margherita Gonzaga (1487-1537), figlia del marchese di Mantova Francesco II e la corteggia trovando in Francesco II un sostenitore. Margherita però non riteneva Agostino di levatura sociale adeguata e dunque del matrimonio non se ne fece nulla
Gli affreschi di Galatea e Polifemo raccontano proprio questo amore non corrisposto come nel mito Galatea non corrispose l’amore di Polifemo.
Peccato che poco o nulla si sappia ad oggi sulle scelte iconografiche fatte da Agostino Chigi. Difficilmente, infatti, si potrebbe pensare a due soggetti trattati in modo così differente tra loro frutto anche del portato specifico di ciascuno dei due maestri.
Polifemo occupa quasi per intero la scena. Anche se Sebastiano del Piombo deve aver già metabolizzato la lezione di Michelangelo in termini di resa dell’anatomia dei corpi, l’atmosfera e la coloritura è tenue, veneziana, ben lontana dai toni decisi adottati da Raffaello.
La Galatea di Raffaello: la classicità ritrovata
Da un lato Sebastiano rende tutta la rusticità di Polifemo, dall’altro Raffaello esalta tutta la raffinatezza di Galatea. Sceglie di rappresentare il mito antico in forma classica, come se l’affresco fosse stato realizzato per una residenza della Roma imperiale. E così una Galatea che si gira verso destra in plastica torsione guida un cocchio a forma di conchiglia trainato da una coppia di romanissimi delfini. Romanissimi perché quella è l’iconografia romana del delfino come il tritone che suona nella sua conchiglia.
Poiché nulla si crea e nulla si distrugge, guardate la fontana del Tritone di Gian Lorenzo Bernini e fate caso ai delfini ed al tritone stesso. Poi ditemi voi.
Se desiderate una guida generale alla visita di Villa Farnesina cliccate Villa Farnesina: villa d’amore e d’arte
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