L’affresco della Madonna in Trono di Gentile da Fabriano appare quasi d’improvviso sulla parete della navata destra del Duomo d’Orvieto. Colpisce per la delicata espressione della Vergine e per la soavità del suo incarnato.
Gentile da Fabriano: la Madonna del Duomo d’Orvieto
Dipinto da Gentile nel 1425, due anni dopo l’Adorazione dei Magi, nel suo splendore originale l’affresco testimonia (probabilmente) l’apertura del Duomo e dei solenni affreschi della sua abside ai nuovi stilemi artistici quali quelli del gotico internazionale.

Il momento in cui l’opera viene concepita e la sua storia sono raccontate accuratamente nella documentazione illustrativa messa a disposizione dal Duomo stesso:
“(la Madonna) si trova ‘ai piedi della chiesa la Vergine col putto dell’amabile pennello di Gentile da Fabriano’ dipinta tra l’agosto e l’ottobre del 1425.
La prestigiosa commissione si colloca in un’importante fase storica per l’Opera del Duomo che, per volontà di papa Martino V, fu oggetto di una sostanziale riforma amministrativa, dotandosi nel 1421 di nuovi Statuti. Con tale strumento si provvedeva anche a regolamentare usi e funzioni della cattedrale e si indicavano i criteri riguardo alle immagini e ai dipinti devozionali da inserire, secondo la consuetudine, a corredo di altari e sepolture: sarebbero stati autorizzati a operare nel Duomo solamente ‘i pittori più esperti ed i maestri migliori e più periti nell’arte’. Il ‘magister Gentilis pictor’ era senz’altro tra questi e grandissima era già la fama delle opere che aveva realizzato a Venezia e Firenze.
I documenti conservati presso l’archivio dell’Opera del Duomo registrano al 25 Agosto 1425 l’acquisto di ‘pignoccate’, dolci donati all’illustre artista in occasione del suo arrivo a Orvieto; mentre già il successivo 16 Ottobre la Fabbrica deliberava di remunerare Gentile ‘pro factura pictura Virginis gloriose”.
Un rapporto diretto tra opera e spettatore
Breve fu, quindi, il soggiorno orvietano dell’artista, ma di grande importanza fu la sua opera belle e nuova, – come la definì Cesare Brandi che ne seguì e sostenne il restauro – “d’una grandiosità che il trono ad arcate, quasi un piccolo chiostro, sottolinea e pone in evidenza come poteva accadere al Maestro che era stato a Firenze e aveva sfiorato la nuova prospettiva brunelleschiana”.
E proprio l’esito di questa rivoluzione in senso naturalistico di Gentile e del rinnovamento “dall’interno” del suo linguaggio formale, raffinato e prezioso, ha di recente rilevato Keith Christiansen in una efficace riletture critica dell’opera. “Il finto contorno architettonico – spiega lo studioso – e la veduta ‘di sotto in su’ di questa Madonna col Bambino stabiliscono una relazione diretta tra l’opera e un osservatore posto nella navata, alimentata dalla suggestione luministica di una fonte di luce che sembra corrispondere alla porta d’ingresso della facciata della cattedrale cosicché l’osservatore ha l’impressione che lo spazio dell’affresco sia veramente un’estensione del suo”.
Emergono così “la figura solenne e allo stesso tempo delicatamente materna della Vergine, magnificamente descritta dalle pieghe ricadenti del drappeggio, e quella del Bambino … raffigurato in equilibrio precario su un piede mentre si sbilancia in avanti per salutare l’osservatore”.
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