Si chiama “il latte dei sogni” la Biennale d’Arte di Venezia 2022. Un titolo preso in prestito dall’omonimo libro per bambini scritto da Leonora Carrington (1917-2011) artista e scrittrice inglese vicina alla poetica surrealista, che ha ispirato la prima curatrice donna della storica esposizione, Cecilia Alemani.
Tre le tematiche principali: la rappresentazione dei corpi e la loro metamorfosi, la relazione tra gli individui e le tecnologie, e i legami tra i corpi e la terra, in una prospettiva che ha le sue radici nella filosofia del postumo e nel post antropocentrico (attraverso gli studi di Rosa Braidotti).
Una Biennale che vuole essere un invito alla riflessione, attraverso l’esperienza visiva e immersiva, in un mix di onirico e surreale, in una osmosi tra passato e contemporaneo. Una mostra all’insegna della globalizzazione, della materia antropologica, del cambiamento dell’umano e del non umano e delle responsabilità di tutti noi nei confronti del pianeta e dei nostri simili.
Temi spaventosamente attuali affrontati da più di duecento artisti (di cui la maggior parte donne), provenienti da 58 nazioni, che con le loro 1.433 opere, hanno immaginato nuove forme di coesistenza, hanno ipotizzato trasformazioni, hanno pensato ad un futuro ibrido, hanno sottolineato la fragilità del corpo umano e si sono chiesti quali siano le nostre responsabilità.
Biennale di Venezia 2022: la friabilità del mondo
La rassegna lascia anche spazio all’arte del XX secolo, l’innovazione e le opere elaborate con materiali ricercati e sperimentali, le istallazioni dalla profonda eco psicologica di artiste come Carla Accardi o Sable Elyse Smith sono poste in dialogo con le opere realizzate dagli autori contemporanei.
Cinque le “capsule del tempo”, mostre tematiche che ordiscono consapevolezze e ricerca, che indagano sull’arte come processo tecnico, che rimandano all’indebolimento dell’antropocentrismo, e all’analisi del rapporto tra uomo e macchina.
In questa Biennale di Venezia 2022 domina la materia, una materia però in disfacimento che è allegoria della friabilità del mondo. E’ un’edizione che segue ad una pandemia e che si concretizza in tempo di guerra, con il padiglione della Russia chiuso in segno di protesta, in cui in generale prevale la parte dedicata alla scultura e alla pittura rispetto allo spazio riservato al digitale.
Insomma usciamo dai Giardini e dall’Arsenale con degli interrogativi sicuramente politically correct, a anche e soprattutto con gli occhi pieni di colori e di creature.
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