Ottanta opere celebrano Massimo Campigli alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, ad un passo da Parma. Ne indagano il mistero. Il mistero di quelle sue iconografie tipiche, spesso femminili, alle volte immobili, quasi ripetitive, geometriche eppure, sempre, fortemente emozionanti.
Intervista con Stefano Roffi, curatore della mostra Campigli. 900 Antico
Perché questa è la cifra dell’arte di Campigli: quella di un’emozione profonda, antica, che sembra trarre la sua forza dalle nostre radici più remote. Egizie ? etrusche ? romane ? medievali ?. Difficile dirlo ma, certamente, come non riconoscere nelle opere di Campigli qualcosa che viene da un molto lontano ma che conosciamo, però, molto bene.
Una pittura enigmatica come – immagino – dovesse esserlo l’artista.
Massimo Campigli: il fascino dell’arte antica
Il 1928 è un anno cruciale per Campigli. A Roma visita il museo di Villa Giulia, restando affascinato dall’arte etrusca, e le Terme di Diocleziano, dove viene colpito dalla ritrattistica romana del basso impero. Dopo questo vero colpo di fulmine per l’antico, approccia le prime figure femminili dai grandi occhi senza sguardo inserite in raffinate trame architettoniche.
La sua pittura mostra un mondo perfetto che affascina con i suoi colori fantasmatici, gli elementi geometrici di donne dal corpo a clessidra, statue dal busto stretto, fermate in un’espressione incantata, con grande attenzione per l’abbigliamento, la moda. Donne prive di realismo, a parte la bellissima ritrattistica femminile ma anche maschile, in una dimensione mitica e idealizzante, in un “non luogo” dell’astrazione.
Alle reminiscenze etrusche si mescolano quelle egizie del Fayyum, poi copte, romane. Quello che Campigli persegue è soprattutto sospendere il presente e raggiungere, attraverso l’emergere dell’antico, una dimensione di eternità dipinta.
Campigli: la vita
Tedesco di nascita (Berlino, 1895 – Saint-Tropez, 1971), italiano di formazione, mediterraneo per elezione, Massimo Campigli fu un personaggio colto ed europeo (parlava cinque lingue).
Non italiano, come ci aspetteremmo, ma tedesco di nascita. Nato infatti a Berlino, il suo nome era Max Ihlenfeld. La madre, lo concepì a diciotto anni non sposata. Per evitare lo scandalo, il bambino viene portato in Italia, nella campagna fiorentina. La madre, che gli aveva dato il cognome, lo raggiunge saltuariamente; nel 1899 sposa un commerciante inglese e può prendere il bambino con sé, fingendo (per salvare le apparenze) di essere sua zia. A quattordici anni, Max scoprirà casualmente la verità.
La sua formazione avviene tra Firenze e Milano, in pieno Futurismo. Sono di questo periodo opere dal marcato senso ritmico, una composizione a tessere di mosaico che riaffiorerà sempre nell’opera dell’artista. Nel 1914 inizia a lavorare presso il Corriere della Sera e, dopo la guerra, italianizzato il cognome in “Campigli”, ne diviene corrispondente da Parigi. Nel 1919 la città è il cuore del Ritorno all’ordine, di quel rinnovato dialogo con la classicità che percorre l’Europa, e che molto influenza l’artista.
La vicenda familiare spiega, forse, la sua arte: il suo universo di donne inconoscibili, immobili e insieme sfuggenti e distanti, è in definitiva una lunga meditazione sull’enigma femminino, sull’icona della Dea-Madre. Non uscirà più dalla dimensione infantile e permetterà alla sua immaginazione di prendere il sopravvento sulla realtà per rendergliela accettabile. Scrive infatti: “Non mi sono mai rifugiato nel sogno, nell’infantilismo, ci sono semplicemente rimasto, non ne sono mai uscito”.
Il successo internazionale
Negli anni trenta conquista fama internazionale ed espone a Milano, Parigi, Amsterdam, New York, poi alle Biennali veneziane. Vanno ricordati i quattro magnifici affreschi che realizzò fra il 1933 ed il 1940 per il Palazzo della Triennale di Milano, il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, il Palazzo di Giustizia di Milano e quello monumentale all’Università di Padova, oltre ai grandiosi cicli per i transatlantici.
Per approfondire il tema dei grandi affreschi del ‘900 italiano, leggi I Cartoni del 900 italiano
Dai primi anni cinquanta si avverte una crescente stilizzazione, alla ricerca dell’archetipo, del primitivo: ai suoi interrogativi la cultura occidentale contemporanea, per lui improntata a una ricerca minimalista prossima al nulla, non offriva risposta.
E’ così che annulla la prospettiva nello spazio come nel tempo e ne racchiude l’essenza in uno schema in cui i corpi dei suoi nuovi “idoli” galleggiano irrigiditi in una infinita varietà di atteggiamenti, tornando a esprimere l’enigma della sua infanzia, di quelle donne dall’identità sfuggente, una volta per sempre. “Nelle mie fantasticherie, le mie innamorate erano sempre prigioniere” (M. Campigli, da “Scrupoli”, 1955).
Le sezioni della mostra
La mostra “Campigli. Il Novecento antico”, a cura di Stefano Roffi, si articola in cinque sezioni. La ritrattistica, con le effigi di personalità del mondo della cultura, ma anche amici, signore belle e famose. La città delle donne, che accosta opere che rivelano l’ossessione per un mondo che pare tutto al femminile. Le figure, in sé prive di identità ma caratterizzate da scene di gioco, spettacolo, lavoro. I dialoghi muti, coppie vicine spazialmente ma incapaci di comunicare, prigioniere del proprio mistero. Gli idoli, presentati nell’evoluzione dalle figure idolatriche tratte da Carrà negli anni venti a quelle di ispirazione primitiva che compaiono a partire dagli anni cinquanta.
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Campigli. Il Novecento antico
Fondazione Magnani Rocca
via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma)
dal 22 marzo al 29 giugno 2014
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it
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