Il Bacco di Caravaggio degli Uffizi di Firenze è una tela che colpisce per la sua perfezione. Probabilmente, di un certo insieme di opere del Merisi assimilabili per genere, è il capolavoro. Parliamo, per intenderci, di figure quali il Bacchino Malato, il Fanciullo con Canestro di Frutta, ambedue presso la Galleria Borghese a Roma, o il Ragazzo morso da un ramarro della Fondazione Longhi di Firenze. Rivaleggia con un’altra tela assi complessa: il suonatore di liuto dell’Ermitage.
E’ il Caravaggio di metà degli anni 90 del ‘500, apprendista (si fa per dire) alla bottega del Cavalier d’Arpino o alle prese con le prime committenze. Sono le opere del cosiddetto periodo chiaro, ad indicare un uso di sfondi ancora non votato alla drammatica oscurità che caratterizzerà poi l’opera del maestro.
Caravaggio da sfoggio della sua grande mano nel dipingere nature morte. Difficile fare classifiche. Ogni tela ha le sue caratteristiche ma, certo, nel Bacco degli Uffizi di queste caratteristiche (come vedremo) vi è un concentrato.
Il Bacco degli Uffizi del Caravaggio: la storia
Di certo sappiamo che il Bacco di Caravaggio fa la sua apparizione a Firenze nel 1608 in occasione delle nozze di Cosimo II de’Medici (1590-1621) con Maria Maddalena d’Austria. Si tratta, per l’appunto, di un regalo di nozze proveniente da un fidato amico di famiglia, il cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte (fra l’altro) ambasciatore del Granducato di Toscana presso il Papa.
Evidentemente, da un lato Francesco del Monte era piuttosto generoso con i suoi Caravaggio. Dall’altro le opere di quest’ultimo dovevano piacere molto ai Medici. Infatti, qualche anno prima, nel 1598, sempre il del Monte aveva regalato al padre di Cosimo II, Francesco I, la celeberrima Medusa.
Ovviamente, la domanda è: quando venne dipinto il Bacco? Se dovessimo datarlo per assonanza con le opere del Caravaggio citate prima, dovremmo dire metà degli anni ’90.
Possiamo anche inferire che non fu tra le opere del Caravaggio rimaste nella bottega del Cavalier d’Arpino quando il Merisi la lasciò. Infatti queste ultime (Bacchino malato e Fanciullo con canestro di frutta) finirono nel 1607 nelle mani di Scipione Borghese a seguito di una vicenda piuttosto torbida (vedi articolo sul Bacchino malato).
Per cui, o venne dipinta per il cardinal del Monte o fu acquistata da lui al momento nel quale l’opera venne realizzata. Poi, il cardinale la custodì nella sua cospicua collezione fino al momento di regalarla ai Medici.
Utile sapere, a tal proposito, che Caravaggio abitò presso il cardinal del Monte a Palazzo Madama tra il 1597 e il 1600.
Il ritrovamento nel 1913
Curioso il fatto che il Bacco di Caravaggio fosse stato in un certo senso perso. Infatti, persa evidentemente la memoria di chi ne fosse l’autore, complice forse la perdita d’interesse per Caravaggio dopo la sua morte, era finito nei depositi degli Uffizi. Qui, in via Lambertesca, lo rinvenne nel 1913 Matteo Marangoni, storico dell’arte e direttore della Soprintendenza di Firenze. A Roberto Longhi spetta poi la definitiva attribuzione.
L’opera: un grande Bacco per Caravaggio
Nel Bacco degli Uffizi Caravaggio non lesina: sulla tela da sfoggio di alcuni dei suoi noti punti di forza. La tunica bianca su cui si riflette la luce (da sinistra alquanto frontale) si prolunga in un improbabile strascico che va a coprire la spalliera del triclinio sul quale Bacco è sdraiato. Quale occasione migliore per mostrare la propria abilità nel panneggio.
Il cesto di frutta è nello stile del Merisi che anche qui non si risparmia. Ci sono le foglie di fico dalle mille vene, il melograno da cui sembra si possa succhiare il nettare scrocchiandone tra i denti i semi, il frutto bacato lì in bella vista. Perché, giustamente, Caravaggio non si sottrae mai dal dipingere il mondo così com’è.
Poi c’è l’ampolla del vino e la coppa che Bacco porge allo spettatore. Un infinito gioco di trasparenze dove Caravaggio sceglie il vetro anche per lo stelo della coppa così da poterci dipingere dietro la mano di Bacco.
Che dire, poi, della corona di foglie di vite che cinge il capo del dio? Nulla. Bisogna cercare di avvicinarsi il più possibile al dipinto (o ingrandire la foto) e gustarsele una a una. Inutile stare qui a divagare sulle loro mille tonalità dal giallo al rosso…
Inutile anche dire che la figura di Bacco è in se un altro pezzo di bravura. Caravaggio con l’anatomia non è secondo a nessuno e dipinge al dio un tornito braccio d’atleta. Simile a quanto fa per Bacchino malato.
Si vuole che il modello per l’opera sia Mario Minniti (1577-1640), pittore siracusano approdato a Roma giovanissimo e che con Caravaggio divise i primi difficili anni degli esordi romani. In effetti, ritroviamo lo stesso modello in diverse altre tele del Merisi, ad iniziare dal Fanciullo con canestro di frutta.
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