La Buona Ventura di Caravaggio (olio su tela, 116×152 cm), custodita ai Musei Capitolini di Roma, è un’opera di particolari. Forse non è tra le più coinvolgenti del Merisi, ma non manca però di mettere in mostra le capacità del maestro.
Caravaggio Buona Ventura: l’opera
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La scena è semplice, lineare. Su uno sfondo piatto, solcato solo dalle ombre di una qualche architettura (la luce viene da sinistra), una zingarella legge la mano ad un giovane cavaliere. Nel farlo, già che ci si trova, prova a sfilargli l’anello che ha al dito.
La scena è pervasa da una evidente ironia. Il viso grassottello del cavalierotto di buona famiglia dallo sguardo non proprio acuto. Gli occhi svegli e furbi della zingarella. Il cavalierotto che si da un tono poggiando la mano appena sopra la spada ma rimane tutto impacciato. La zingarella che ha capito di aver trovato il pollo e, mentre finge di accarezzargli il palmo della mano con le dita, gli sfila l’anello.
Non credo ci siano da ricercare grandi metafore ma solo da sorridere alle spalle del solito figlio di papà. Il Merisi, impietoso, non solo lo cinge di spada ma gli regala anche un cappello piumato. Sarebbe un completino da bravo se non ci fosse la faccia del protagonista… da tordo (per dirla alla romana).
I particolari della Buona Ventura
Siamo nel periodo chiaro di Caravaggio, nel senso che il maestro non fa uso dei suoi potenti chiaroscuri (più scuri che chiari, in realtà). La tela racconta un momento di tutti i giorni in una qualsiasi strada romana tra ‘500 e ‘600. Un’opera direttamente ispirata dalla vita, dunque, ma anche dipinta in mezzo alla vita.
Infatti Giovanni Bellori (nel suo Le Vite De’ Pittori, Scultori ed Architetti Moderni) racconta che Caravaggio: chiamò una zingara che passava a caso per istrada e condottala all’albergo la ritrasse in atto di predire l’avventure, come sogliono queste donne di razza egiziana. Fecevi un giovane il quale posa la mano col guanto su la spada e porge l’altra scoperta a colei che la tiene e la riguarda..
Bellori usava questo esempio per evidenziare la poca raffinatezza della poetica caravaggesca: sostanzialmente una copia della vita quotidiana. Purtroppo per lui, la sentenza dei posteri è stata ben diversa.
Ma veniamo ai particolari. Non bisogna sbagliarsi e guardare la Buona Ventura solo nel suo insieme. Tutt’altro. Partiamo dalla zingarella e dal suo bel turbante, dal bell’orecchio, dal ricamo sul collo della camicia. Ancor più nel signorotto. Le piume (godetevi il contrasto tra la bianca e la nera) sono belle pennellate.
Guardate il broccato del corpetto e, ancor di più, i polsini di pizzo della camicia. Poi c’è l’elsa della spada, così lucida da riflettere la luce. E’ anche arricchita da un foulard di velluto avvolto nell’elsa: tanto quando mai avrebbe dovuto usarla….
La Buona Ventura di Caravaggio e il Cavalier d’Arpino
Si ritiene unanimamente che la Buona Ventura sia stata dipinta nella prima fase della presenza a Roma del Caravaggio. Probabilmente quando frequentava la bottega del Cavalier d’Arpino intorno alla metà dell’ultima decade del ‘500.
Infatti, il Merisi riutilizzo una tela che, per qualche motivo, al Cesari non serviva più. Le radiografie dell’opera evidenziano infatti, al di sotto del dipinto, una precedente immagine. Dovrebbe trattarsi di un’Incoronazione della Vergine avviata dal Cavalier d’Arpino ma poi evidentemente non più necessaria.
L’arrivo ai Musei Capitolini
Va innanzitutto ricordato che la nascita dei Musei Capitolini viene fatta risalire al 1471. Dunque un museo particolarmente antico.
La Buona Ventura venne dipinta dal Caravaggio per un suo affezionato mecenate, il cardinale Francesco Maria Del Monte presso la cui dimora (Palazzo Madama), il Merisi soggiornò a lungo.
Gli eredi del cardinale Del Monte vendettero poi l’opera a Carlo Pio di Savoia (1622-1689), cardinale anch’egli e collezionista d’arte. Creata già in precedenza dallo zio cardinale Carlo Emmanuele, la collezione raggiunse con Carlo dimensioni ragguardevoli. Da Giorgione a Tiziano, da Domenichino a Tintoretto passando per Rubens e Guido Reni, aveva la portata di un museo.
Questo fatto evidentemente non sfuggi a papa Benedetto XIV Lambertini. Così, quando i Pio di Savoia svilupparono i propri interessi prevalentemente in Spagna e, nel 1750, chiesero al pontefice l’autorizzazione a trasferire li la propria collezione, il papa gliela accordò ma li obbligò a lasciare a Roma 126 dipinti che andarono a creare il primo nucleo dell’attuale Pinacoteca Capitolina.
Letture Consigliate
Se siete a Roma ai Musei Capitolini e volete ammirare tutte le opere del Merisi nella Città Eterna, leggete Caravaggio a Roma: un percorso ragionato
Se volete approfondire l’opera di Caravaggio, qui di seguito trovate l’elenco completo dei suoi dipinti ed i link ai relativi articoli di ArtePiù Caravaggio: tutte le opere
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