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Caravaggio: la Flagellazione di Rouen

La Flagellazione del Musée des Beaux-Arts di Rouen va annoverata di diritto tra i grandi capolavori di Caravaggio al pari delle sue opere più alte. La tela ipnotizza chi la guardi per la drammaticità della scena, per il grande dinamismo, per il corpo statuario del Cristo, per l’immensa distanza che intercorre tra la sua sacralità e la bieca efferatezza dei suoi carnefici.

Il recente restauro ne rende poi perfettamente leggibili i chiaroscuri restituendo il contrasto tra questi ultimi e la brillantezza dei colori nelle aree colpite dalla luce.

La luce di Caravaggio

La luce, si sa, è il segno di Caravaggio. Quella della Flagellazione di Rouen arriva radente da sinistra, s’allarga sul corpo del Cristo e sul suo volto e s’infrange poi sui carnefici illuminandone, in realtà,caravaggio flagellazione rouen principalmente i visi (non a caso).

E’ proprio in questi tre volti il centro dell’opera. Quello del Cristo, pervaso di rassegnazione di fronte a quella sofferenza che sta per caratterizzare la fine del suo percorso terreno ma di bellezza e perfezione canoniche, contrapposto alla plebea pochezza dei carnefici.

Tanto il Merisi punta a focalizzare i tre volti che non porta all’estremo i bianchi, di solito usati per dare ulteriore luce alle tele. Qui, la fascia che copre i fianchi di Gesù è di un bianco più spento ed anche la veste rossa che doveva aver indossato appare fugacemente in basso nell’angolo sinistro.

Dipinta durante il soggiorno napoletano del Merisi, la Flagellazione di Rouen è usualmente accostata alla Flagellazione del Museo di Capodimonte, dipinta nello stesso periodo. A collegare le opere è la figura dell’aguzzino di destra nella Flagellazione di Rouen e di sinistra in quella di Capodimonte. Si tratta evidentemente dello stesso modello che è anche comune con il personaggio che mostra la testa recisa del Battista nella Salomè della National Gallery di Londra.

Peraltro, anche per la figura di Cristo nelle due Flagellazioni, Caravaggio potrebbe aver impiegato il medesimo modello.

Caravaggio Flagellazione di Rouen: la storia

Come appena detto, la genesi delle due Flagellazioni del Caravaggio – o Cristo alla colonna – è fortemente collegata.

Di quella custodita a Capodimonte sappiamo con precisione quanto necessario. Infatti, un documento dell’archivio storico del Banco di Napoli, rivela che l’11 maggio 1607 Tommaso de Franchis paga 100 ducati a Michelangelo da Caravaggio a saldo di un totale di 250: “a Tomase di Franco 100 ducati e per lui a Michelangelo Caravaggio dite ce li paga a compimento di ducati 250.. e sono in conto pel prezzo di un ……… che gli haverà da consegnare“. La tela prende poi posto nella Cappella de Franchis presso la chiesa di San Domenico Maggiore dove rimase fino all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso quando si preferì che venisse custodita presso il Museo di Capodimonte.

Delle origini della cosiddetta Flagellazione di Rouen sappiamo invece poco o nulla. Come detto, i modelli utilizzati la collegano a quella di Capodimonte e dunque al periodo napoletano del Merisi.caravaggio flagellazione rouen

Secondo lo storico dell’arte Maurizio Marini avrebbe potuto trattarsi dell’opera inserita nell’inventario della collezione di Ferdinand van den Eynden, grande mercante d’arte fiammingo d’origine ma trapiantato a Napoli, realizzato nel 1688 nientedimeno che da Luca Giordano. L’inventario riporta: “Un altro di palmi 8 e 10 in circa con cornice indorata consistente la Flagellazione di Nostro Signore alla colonna mano di Michel’Angelo Caravaggio, 400 (ducati)”

Il problema è che il palmo napoletano misurava circa 0.26 cm e dunque la tela sarebbe stata alta oltre due metri per più di due metri e sessanta di lunghezza. La tela di Rouen è invece di 134,5×175,5 cm, dunque molto più piccola.

Comunque sia, della tela continuiamo a sapere molto poco. Nel 1955 l’acquista il Musée des Beaux-Arts di Rouen essendo stata prima di un collezionista francese ed essendo stata ancor prima posta in vendita presso l’Hotel des Ventes di Parigi.

La Flagellazione di Rouen e Roberto Longhi

Dunque, come questo capolavoro abbia trascorso gran parte della sua vita resta un mistero affascinante. Viceversa, la sua scoperta è anch’essa una storia affascinante perché ha come protagonista Roberto Longhi, ovvero colui al quale si deve la riscoperta di Caravaggio dopo l’oblio.

Roberto Cotroneo la racconta nel suo libro “L’invenzione di Caravaggio” da dove la riprendiamo: “E’ il 1959. Michel Laclotte ha poco più di trent’anni. In poco tempo sarebbe diventato uno dei più importati studiosi di pittura italiana, e in seguito direttore del Louvre. Qualcuno gli fa avere la fotografia di un dipinto, un Cristo alla colonna. Era stato acquistato qualche mese prima da un museo importante, il Musée des beaux-arts a Rouen. Si conoscevano altre due opere dello stesso tipo, una delle quali attribuita a Mattea Preti; l’altra, conservata al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli è sempre una flagellazione del Caravaggio. Ora ne spuntava una terza. Di cosa si trattava?

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Roberto Longhi è a Parigi proprio in quei giorni. Laclotte lo contatta e si incontrano. Laclotte gli mostra la foto del Cristo alla colonna comprato a Rouen. Il giorno dopo Longhi è su un taxi che lo porta al Musée des beaux-arts a Rouen. Sono poco meno di due ore di automobile. Arrivati li Longhi si avvicina al quadro e comincia a studiarlo, è un tempo lunghissimo, forse mezz’ora, forse un’ora, anche di più. Nessuno osa parlare, sono tutti folgorati, rapiti dallo sguardo di Longhi, dal suo modo di avvicinarsi alla tela, dalla lentezza con cui esamina ogni particolare ed ogni dettaglio. Laclotte dirà poi che si era generato un silenzio quasi irreale. Un silenzio che Longhi rompe solo alla fine dicendo soltanto: ‘non c’è dubbio, è un originale di Caravaggio’…. Eppure Longhi non ha esitazioni. Dopo quel silenzio infinito si conosce il perché: aveva osservato un dettaglio in particolare, le tracce, ancora visibili in alcuni punti dell’opera, delle incisioni che Caravaggio operava sugli stati preparatori del dipinto, per definire le linee della composizione”.

 

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.