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Giuditta e Oloferne: la forza del Caravaggio

Giuditta e Oloferne di Caravaggio è una tela ragguardevole da diversi punti di vista. Per l’evoluzione dell’arte di Michelangelo Merisi, certamente. Ma anche perché il tema è caro alla pittura dal Rinascimento in poi e, dunque, ricco di possibili paragoni. Di certo, Caravaggio detta un modello che farà storia.

Vi si cimentarono, infatti, Sandro Botticelli e Lucas Cranach (pennellate tanto formidabili quanto statiche, queste, se confrontate con Caravaggio). E poi il Cavalier d’Arpino e Artemisia Gentileschi (splendida ed eccessiva) che aveva negli occhi la tela di quel Michelangelo amico del padre (anche Orazio aveva dipinto questo tema). E Rubens, con un capolavoro assoluto non molti anni dopo Caravaggio.

Caravaggio, Giuditta e Oloferne: la storia

caravaggio giuditta e oloferna galleria arte antica palazzo barberiniIniziamo dalla storia della Giuditta e Oloferne di Caravaggio. La datazione dell’opera, infatti, è utile a ben collocarla nell’evoluzione del maestro.

Questa fu dipinta per il conte Ottavio Costa (1554-1639), ligure ma ben presto trasferitosi a Roma, banchiere e mecenate. L’anno, a seconda delle fonti, va dal 1597 al 1602. A tal proposito giocano diversi fattori.

Il primo è la tradizione. Questa vorrebbe che il Caravaggio si sia ispirato per la figura di Giuditta a Beatrice Cenci la quale venne giustiziata per l’assassinio del padre aguzzino l’11 settembre del 1599 (all’esecuzione il Caravaggio avrebbe assistito insieme a Orazio Gentileschi ed alla figlioletta Artemisia).

Il secondo è una ricevuta datata 21 maggio 1602 per un pagamento fatto da Ottavio Costa a Caravaggio ma che potrebbe riferirsi anche ad un’altra opera dipinta successivamente.

Se la datazione si pone all’inizio dell’intervallo citato, allora siamo in presenza di una delle prime opere connotate dai forti chiaroscuri caravaggeschi ed una dellecaravaggio giuditta oloferne palazzo barberini prime caratterizzate da una complessa trama descrittiva. Prima, si collocherebbe infatti (sul piano della complessità descrittiva) il Riposo durante la fuga in Egitto e poi i cicli legati a San Luigi dei Francesi ed a Santa Maria del Popolo.

Sempre in termini di date, Giuditta e Oloferne risulta poi nel testamento di Ottavio del 1632 e nell’Inventario dei beni della famiglia nel 1639. Questo documento cita: “un quadro grande con l’immagine del Judith fatto da Michelangelo Caravaggio con la sua cornice e taffetà dinanzi”.

Dell’opera vennero successivamente perse le tracce fino a quando, nel 1950, il restauratore Pico Cellini lo vide presso la presso la famiglia Coppi e lo indicò a Roberto Longhi a cui si deve l’attribuzione al Caravaggio.

L’opera

L’opera rivela la grande capacità del Merisi di rendere credibile il dramma. Un drappo rosso è il solo sfondo mentre la luce colpisce dall’alto i personaggi. Oloferne è rappresentato in tutta la forza della sua caramuscolatura di guerriero. Colto nell’attimo in cui il soffio vitale gli sta sfuggendo ed egli ne è conscio.

La sua mano destra è aperta con il palmo rivolto verso il basso. Caravaggio riprenderà subito dopo questa posa (difficile) nel Martirio di San Matteo (personaggio nell’angolo in basso a sinistra) e nella mano destra dell’angelo delle Sette Opere di Misericordia.

La bocca aperta a “o”, con i denti che si intravedono, è quella della Medusa e del Sacrificio d’Isacco degli Uffizi.

Non manca il colpo di frusta del bianco. Non tanto quello del giaciglio di Oloferne quanto quello della camicia di Giuditta. E Caravaggio non si risparmia: la manica sinistra tutta ripiegata è un gran panneggio.

Giuditta – forse l‘amica del Caravaggio Fillide Melandoni – si tiene quanto più possibile lontana da Oloferne, con le braccia tese. Non c’è lo stesso trasporto assassino della Giuditta di Artemisia Gentileschi che ben altre colpe doveva far scontare al genere maschile. Originariamente, stando alle radiografie, Caravaggio aveva dipinto Giuditta a seno nudo. Poi l’aveva coperto lasciandolo però aderire, sudato, alla camicia.

La prima vecchia di Caravaggio

Poi c’è la serva di Giuditta che Caravaggio rappresenta vecchia e di una bruttezza caricaturale.caravaggio giuditta oloferne barberini

Il naso aquilino, la bocca sporgente (come le orecchie), gli occhi strabuzzati. Forse, l’idea è di sottolineare la bellezza di Giuditta attraverso il contrasto. La vecchia serva ha in testa un fazzoletto bianco come lo è la camicia.

Diciamolo: questa figura – l’esatto opposto di Giuditta – è un capolavoro. Per quanto ci è arrivato delle opere di Michelangelo Merisi è la prima vecchia della serie. Poi arriverà quella della Madonna dei Pellegrini e, nel 1606, quella della Cena di Emmaus.

Negli ultimi anni diverranno più frequenti: le ritroviamo nel Cavadenti di Palazzo Pitti e nelle due Salomè con la testa del Battista di Madrid e di Londra.

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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