Il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, ultima opera dell’immenso artista, è ancora una volta prova della sua originalità di pensiero. Sant’Orsola guarda la ferita del suo martirio con sguardo quasi assente, come se da sempre sapesse che il momento sarebbe arrivato. Nello sguardo del suo carnefice – irrealisticamente vicino alla santa – con ancora imbracciato l’arco, non trapelano odio o rabbia, quanto piuttosto sbalordimento per il gesto compiuto. Una mano si protende tra Attila e Sant’Orsola come per fermare il dardo. Ma è ormai troppo tardi.
Sant’Orsola: la storia
Molto brevemente, Sant’Orsola è una martire del IV secolo. La tradizione a cui si rifà Caravaggio è quella che la vedrebbe uccisa da Attila con una freccia per essersi rifiutata di sposarlo.
Orsola sarebbe stata figlia di un re di Britannia che l’aveva concessa in sposa al re pagano Aetherius. La santa lo aveva però convinto a convertirsi al cristianesimo. La giovane, insieme a undici nobili vergini compirono un pellegrinaggio a Roma. Qui vennero ricevute dal papa. Sulla via del ritorno, a Colonia, si imbatterono in Attila e di lì il martirio.
Caravaggio Martirio di Sant’Orsola: la scena
Si è spesso sottolineato come l’iconografia proposta dal Caravaggio sia completamente originale rispetto a quanto fin quel momento visto. Scomparse le undicimila vergini al seguito della santa (che in realtà erano solo undici), Caravaggio sceglie una scena raccolta e senza tempo. E’ l’interno della tenda di Attila (come rivela il drappeggio alle spalle delle figure) che indossa una pettorale di corazza cinquecentesco. Dietro la santa, che invece porta una (straordinaria) tunica rossa senza tempo, un soldato in armatura.
Nel buio della scena, una lama di luce taglia la scena da sinistra. Si concentra sul busto di Sant’Orsola (dalla carnagione livida predittrice di morte) e sulla tunica rossa che s’impone sulla scena. La medesima lama illumina una mano e una metà del viso di Attila, la fronte di una figura, riluce sull’armatura del soldato. Soprattutto, illumina quasi appieno il viso di un uomo alle spalle di Sant’Orsola: il ritratto dello stesso Caravaggio.
Proprio con il suo ritratto Michelangelo Merisi firma la sua ultima tela. Due mesi dopo la sua breve vita terminerà in quel di Port’Ercole, quando ormai la grazia papale che doveva salvarlo stava divenendo realtà.
Marcantonio Doria e Suor Orsola: la committenza
Caravaggio dipinse il Martirio di Sant’Orsola per Marcantonio Doria, esponente della famosa famiglia genovese. Questi per molti anni soggiornò a Napoli entrando così in rapporti con il pittore.
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Isabella della Tolfa, che aveva sposato in seconde nozze Marcantonio, aveva avuto dal primo marito, Agostino Grimaldi principe di Salerno, una figlia di nome Anna. Questa aveva poi preso i voti con il nome di Suor Orsola. Di qui, probabilmente, l’idea della commissione al Caravaggio.
E’ probabile che l’opera (140,5×170,5 cm) sia stata realizzata in tempi brevi. Poi, con urgenza, inviata a Genova a Marcantonio Doria. Del perché di tanta fretta, non abbiamo contezza precisa.
Certo è che il primo maggio 1610 Lanfranco Massa, rappresentante a Napoli di Marcantonio, gli scriveva quanto segue: “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti”
L’idea di mettere la tela ad asciugare al sole non fu, diciamolo, particolarmente brillante. Finì per sortire l’effetto contrario ammorbidendo il colore. Chissà come la prese Caravaggio, notoriamente non di buon carattere.
Comunque, il 27 maggio il dipinto prese la via di Genova. All’inizio di luglio, invece, Caravaggio intraprese quello che doveva essere il suo ultimo viaggio in direzione di Roma.
Martirio di Sant’Orsola: la riscoperta
Il Martirio di Sant’Orsola rimase nelle mani dei Doria per diversi secoli. Il suo destino, però, era quello di tornare nella città nella quale era stato dipinto. Un ramo di casa Doria, infatti, portava il titolo di duchi di Eboli. Così, a seguito di lasciti ereditari, nel 1854 ritroviamo la tela nelle proprietà di Giovanni Carlo Doria nel palazzo dei Doria d’Angri a Napoli lungo Via Toledo (non distante da dove è oggi).
Da tempo, però, evidentemente, si era persa la cognizione di chi fosse l’autore dell’opera. Questa peraltro, doveva aver mano a mano perso la qualità oggi recuperata grazie al restauro effettuato nel 2005.
Infatti, nel 1963 in occasione della mostra “Caravaggio e caravaggeschi” a Napoli il quadro venne attribuito a Mattia Preti (1613-1699). Del resto, anche l’originalità della scelta iconografica del Caravaggio non facilitava l’attribuzione.
Da Napoli, la tela prende la strada della villa dei Doria d’Angri vicino ad Eboli. Questa venne infine venduta con tutti gli arredi all’ambasciatore Furio Romano Avezzano e alla moglie Felicita.
Così, misconosciuto, la baronessa Felicita Romano Avezzano vende nel 1973 il Martirio di Sant’Orsolaalla Banca Commerciale, oggi Banca Intesa. A quel punto, studi più approfonditi portarono ad attribuire l’opera a Caravaggio.
Poi, nel 1980 lo storico dell’arte Vincenzo Pacelli (1939-2014) individua nell’archivio dei Doria D’Angri, le carte necessarie a chiudere definitivamente la vicenda della paternità dell’opera.
Oggi, il Martirio di Sant’Orsola risiede stabilmente nella galleria d’arte voluta da Banca Intesa a Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli (via Toledo 185). Rappresenta, inutile dirlo, la pietra più preziosa della collezione.
Napoli custodisce altre due tele di Caravaggio. Prima di andarle ad ammirare, leggi Caravaggio a Napoli: un tour della città cercando il maestro
Se volete approfondire l’opera di Caravaggio, qui di seguito trovate l’elenco completo dei suoi dipinti ed i link ai relativi articoli di ArtePiù Caravaggio: tutte le opere
Caravaggio Martirio Sant’Orsola
Palazzo Zevallos Stigliano
Via Toledo 185 – Napoli
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