La Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei Pastori di Caravaggio sono lì, uno accanto all’altro, nella sala a loro dedicata nel Museo Regionale di Messina. Nessuno vi disturberà. Vi potete sedere di fronte a loro. Alzarvi. Guardarli ad un passo, quasi come se fossero vostri.
Museo Regionale di Messina: i due Caravaggio peloritani
Sono le due grandi tele messinesi ancora superstiti nella città dove Michelangelo Merisi le dipinse tra il 1608 ed il 1609. Per coloro che amino frequentare le opere del grande maestro, la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei Pastori rappresentano un binomio ormai inscindibile e inconfondibile, così diverse dal Caravaggio dei luminosi e scapestrati anni romani.
Del resto, anche l’animo del Merisi, fuggitivo da Malta, era molto diverso. Racconta infatti Francesco Susinno (1670-1739), autore de Le vite de’ pittori messinesi, che Caravaggio giunto a Messina era:
“… uomo di cervello inquietissimo, contenzioso e torbido ….molte volte andava a letto vestito e col pugnale al fianco che mal lasciava; per l‘inquietudine dell‘animo suo più agitato che non è il mare di Messina.. Vestiva mediocremente, armato sempre, che piuttosto sembrava uno sgherro che un pittore. Soleva mangiar su un cartone per tovaglia, e per lo più sopra una vecchia tela di ritratto”.
Come vedremo tra poco, all’omicidio di Ranuccio Tommasoni, che lo aveva costretto alla fuga da Roma, si era aggiunta a Malta la rissa che aveva visto il ferimento di fra’ Giovanni Roero conte di Vezza e la successiva evasione dal carcere e fuga dall’isola.
Caravaggio Messina: La Resurrezione di Lazzaro
La Resurrezione di Lazzaro – commissionata dal mercante genovese (residente a Messina) Giovanni Battista de’ Lazzari per la chiesa dei Padri Crociferi – è una scena straordinariamente convulsa. Caravaggio la sceglie, probabilmente, per assonanza con il cognome dei committenti e da una grande prova di saper ritrarre le emozioni più diverse.
Due figure dominano, ovviamente, la scena. Gesù, in piedi, in un gesto del braccio che rimanda direttamente alla Vocazione di San Matteo e Lazzaro. Quest’ultimo è colto nel (formidabile) gesto come di stiracchiarsi per risvegliarsi dal sonno eterno. Nel contempo, però, il corpo di Lazzaro rappresenta anche la Croce, allusione che lo collega alla morte e resurrezione di Gesù.
Intorno a Lazzaro sono le due sorelle Marta e Maria raccolte in un gesto di infinito amore. Guardate il velo di Marta il cui viso è accanto a quello di Lazzaro: un virtuosismo assoluto.
In secondo piano, ma praticamente di fronte a Gesù, l’autoritratto di Caravaggio in una posizione non dissimile da quella che ritroveremo nella sua ultima tela, il Martirio di Sant’Orsola.
La Luce padrona della scena
La Resurrezione di Lazzaro è un’opera che – sebbene dipinta in un momento psicologicamente difficile – mostra la grande maturità raggiunta da Caravaggio. Il maestro fa sfoggio di tutte le sue armi: la grande capacità di rendere gli stati d’animo (dalla sorpresa dei becchini all’amore infinito delle sorelle), di costruire la scena, di restituire l’eleganza dei drappeggi.
Ma, in primis, vi è, come sempre, la capacità di trovare un’unica, originalissima, chiave d’interpretazione del tema. Basta guardare la Resurrezione di Lazzaro di Rubens per capire la differenza.
La luce è la vera padrona della scena. Una luce che rivela e nasconde le figure a seconda di come si posi sulla tela. Proprio su questa luce si concentra l’attenzione dello storico dell’arte Maurizio Calvesi:
“…il fermento della luce sembra avere ormai qualcosa di farneticante: una luce che sfrizza e svapora come in brevi falò e si dibatte tra l’ombra che provenendo dall’incombente fondale attira a se le figure. E’ come una crepitante scossa elettrica, la luce, nel corpo ancora rigido di Lazzaro che sente in sé rifluire la vita e in un drammatico sussulto spalanca le braccia, sospendendo di traverso, nell’aria abbrunata, il salvifico Segno della Croce”.
L’Adorazione dei Pastori di Caravaggio a Messina
Concediamoci un sorriso: questa è la prima Adorazione dei Pastori dove non si trovi neanche una pecora. In realtà, se Caravaggio, avesse rivestito anche di poco i personaggi, sarebbe stata una perfetta Adorazione dei Magi.
Del resto, di grazia, avete mai visto un pastore vestire un mantello rosso come quello della Vergine? E, per di più, fare lo stesso gesto di meraviglia con le braccia del discepolo della Cena di Emmaus della National Gallery di Londra dipinta otto anni prima?
L’Adorazione dei Pastori di Messina fu infatti realizzata nel 1609 su commissione del Senato cittadino per essere destinata alla chiesa dei Padri Cappuccini. Difficile dire quale particola colpisca di più di questo capolavoro assoluto.
Certamente colpiscono i tre pastori inginocchiati e le mani giunte (strepitose) del personaggio centrale. E i due pastori ai lati tratti dai ritratti dei San Girolamo e tra i quali si erge un bastone che ha tutte le sembianze del pastorale di un vescovo. Ma non da meno è San Giuseppe, in piedi alle spalle, curvo, con le mani serrate sul bastone. E le sciabolate bianche sul pavimento con le quali Caravaggio da una forma quasi astratta alla paglia.
L’umiltà di un presepe popolare
Ovviamente, l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla Vergine che tiene stretto il Bambino. Una Madonna popolana, sdraiata sul pavimento della stalla ma avvolta nel suo regale manto rosso. Dietro, il bue e l’asinello. Ma prestateci attenzione perché, nel chiaroscuro, potrebbero sfuggirvi… Così come la cesta di vimini nell’angolo sinistro con una umile forma di pane e gli strumenti da falegname di Giuseppe, santo artigiano.
Perché è l’umiltà la cifra di questa tela. Non v’è nulla di formale, di celebrativo: è una scena assolutamente reale dall’impronta del presepe popolare.
Osserva Maurizio Calvesi in proposito a questa tela:
“..le sei figure dei pastori, di San Giuseppe e della Vergine col Bambino si dispongono, con disegno ben dissimulato nella naturalezza, a comporre anche qui (come nella Resurrezione di Lazzaro) una elementare croce, impostata pur sempre in diagonale e prospetticamente. Quello della croce, oltre che il segno della salvezza, è il segno della spoglia semplicità dei poveri, cui si indirizza, con le parole e l’esempio, il Vangelo”.
Caravaggio a Messina: ancora un’avventura
Sappiamo che nel giugno del 1607 Caravaggio lascia Napoli alla volta di Malta su una delle galere di Fabrizio Sforza comandante generale della flotta dell’Ordine di Malta. Egli è figlio di Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio, e grande protettrice dell’artista.
Il 14 luglio del 1608 Michelangelo Merisi viene ammesso all’Ordine Gerosolimitano grazie all’intervento del Grande Maestro di quest’ultimo, Alof de Wignacourt. Questi ottiene da papa Paolo V Borghese la necessaria dispensa essendosi Caravaggio macchiato due anni prima a Roma dell’uccisione di Ranuccio Tommasoni.
Così, riparato a Malta, ammesso all’Ordine, in piena attività grazie alle commissioni che non mancano, la vita di Caravaggio sembrerebbe prendere la via giusta, ma così non sarà.
La notte del 18 agosto 1608 lo vede partecipare ad uno scontro a cui prendono parte sette cavalieri tutti italiani. Dalla zuffa ne esce ferito fra’ Giovanni Rodomonte Roero conte della Vezza. L’Ordine apre un procedimento giudiziario e Caravaggio viene arrestato e incarcerato in Forte Sant’Angelo. Il processo rischia però di creare qualche imbarazzo al Gran Maestro che ha fortemente voluto l’ingresso del pittore nell’Ordine. Per chiudere il caso, la fuga dall’isola e l’espulsione dall’Ordine può rappresentare una soluzione.
Infatti, Caravaggio evade e lo fa in una situazione che richiede necessariamente complici potenti. Si trova infatti rinchiuso nel forte all’interno di una grotta (detta la Guva) che ha come unico accesso una botola sul soffitto: l’unico modo per uscirne e che qualcuno cali una corda…
Ma a comandare il Forte è un Carafa: potente famiglia napoletana parente dei Colonna ed a comandare la flotta maltese è Fabrizio Sforza. Così un altro dei cavalieri che hanno partecipato alla rissa è condannato per il ferimento di Giovanni Roero mentre Caravaggio è espulso dall’Ordine solo per l’evasione e non per il delitto di sangue.
Da Malta a Siracusa, da Messina a Palermo
Dopo un primo periodo passato a Siracusa, dove dipinge la Sepoltura di Santa Lucia, Caravaggio si trasferisce a Messina. Qui il priore dell’Ordine di Malta è Antonio Martelli, fiorentino, legato a Casa Medici ed in rapporti con il cardinal Del Monte (ambasciatore dei Medici a Roma) antico protettore dell’artista.
I due si conoscevano bene come dimostra il ritratto di Martelli del Caravaggio oggi a Palazzo Pitti. Sarà stato lui a garantirgli la necessaria protezione nella città dello Stretto?
O sarà stato fra’ Bonaventura Secusio, vescovo di Messina fino al 10 giugno 1609, a sua volta in rapporti stretti con il cardinale Alessandro de’ Medici (1535-1605), poi papa con il nome di Leone XI ?
Resta il fatto che quando prima Secusio e subito dopo Martelli lasciano Messina, Caravaggio si trasferisce a sua volta a Palermo.
Dunque, forse, a trarre d’impaccio Caravaggio nell’ennesima difficoltà nella quale si era da solo cacciato fu la provvidenziale collaborazione tra alcuni dei suoi maggiori protettori.
Museo Regionale di Messina
Viale della Libertà, 465 – Messina
T. 090 361292
Orari ingresso:
da Martedi a Sabato ore 9.00 – 18.30 (chiusura ore 19.00)
Domenica e festivi ore 9.00 – 12.30 (chiusura ore 13.00)
Lunedi (non festivi) chiuso
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