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Caravaggio: Morte della Vergine

La Morte della Vergine di Caravaggio fu una tela scandalosa quando venne dipinta nel 1602, oggi ne riconosciamo viceversa la forza innovatrice e la valenza artistica.

Caravaggio Morte della Vergine: la storia

A differenza di molte tele del Merisi, in questo caso committenza e storia sono note. Infatti, il 14 giugno 1601 Laerte (o Laerzio) Cherubini da Norcia, giurista e Conservatore di Roma proprio nel 1601, commissionò l’opera a Caravaggio con apposito contratto per la sua cappella gentilizia in Santa Maria della Scala in Trastevere.

Laerte Cherubini, avvocato di grido, per così dire, era in rapporti di amicizia sia con il cardinal Bourbon Del Monte che con il marchese Giustiniani, noti sponsor del Merisi. Quest’ultimo, al momento della firma del contratto, risiedeva nel palazzo del cardinale Gerolamo Mattei e qui si firmò l’atto. Insomma, eravamo nel cuore pulsante del network caravaggesco.

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Caravaggio – Morte della Vergine, Louvre

Scherzi a parte, l’accordo, di cui disponiamo a tutt’oggi, prevedeva che la tela fosse pronta per l’anno successivo, ma così non fu. Il povero Laerte dovette attendere però fino al 1605 o addirittura all’inizio del 1606 per entrare in possesso della Morte della Vergine. Non sappiamo il perché di tale ritardo e a diradare le nebbie si sono provati valenti storici dell’arte.

Certamente per Caravaggio furono anni intensi, a partire dall’impresa della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Forse, anche i lavori della cappella del Cherubini subirono un ritardo: comunque così andarono le cose.

Ma il bello doveva arrivare. Infatti Santa Maria della Scala era retta dai Carmelitani di Sant’Elia, gente dottrinalmente piuttosto rigida. La grande tela del Merisi (369×245 cm) non piacque affatto ai padri che la ricusarono rifiutandosi di ammetterla nella loro chiesa.

Vedremo poi il perché, ovviamente legato alle modalità di rappresentazione della Vergine.

Giulio Mancini, Rubens e il Duca di Mantova

Non dimentichiamoci che il 28 maggio 1606 Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni. Quindi la tela rifiutata dai Carmelitani resta nella Città Eterna senza il suo autore, senza collocazione ma non senza pretendenti…

Il primo a richiederla ai padri Carmelitani è Giulio Mancini (1559-1630) futuro medico di Urbano VIII e collezionista d’arte. Ma il maggior offerente è Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova che si aggiudica la Morte della Vergine all’inizio del 1607. A consigliarli l’acquisto (per 280 scudi) tal Pietro Paolo Rubens (1577-1640) a dimostrazione di quanto il fiammingo guardasse con attenzione al Caravaggio.

Così la tela prende la strada di Mantova. Nel 1627 (o 28) il quadro viene venduto dal figlio di Vincenzo I, Ferdinando, a Carlo I re d’Inghilterra. Dopo la decapitazione di quest’ultimo nel 1649 entra nel possesso a Parigi del banchiere Everhard Jabach che nel 1671 lo cede a re Luigi XIV. A seguito della rivoluzione francese passa nella proprietà dello stato e definitivamente al Louvre.

La Morte della Vergine di Caravaggio: l’opera

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In una stanza spoglia il corpo della Vergine giace su quella che è più una tavola che un letto. I suoi piedi nudi e gonfi pendono nel vuoto. Le braccia abbandonate, il ventre gonfio, i capelli scomposti: certamente non un’immagine canonica. Ai piedi del letto una conca: per lavare il corpo di Maria ammesso che ciò non sia già avvenuto.

In primo piano la Maddalena al colmo della disperazione. Intorno le figure degli apostoli anche loro persi nel dolore, senza fingimenti, senza impostazioni. Le mani stropicciano gli occhi, reggono il capo, la fronte.

La Vergine è stretta in una veste rossa, come rosso è il drappo che dall’alto incornicia la scena. E’ l’unica concessione che Caravaggio fa al suo formidabile estro scenico.

E’ un Caravaggio diverso, lontano dalle tele di quegli anni di trionfo. La Morte della Vergine preannuncia le grandi tele siciliane che arriveranno solo pochi anni dopo quando, fuggito da Malta, approderà sull’isola.

Il rifiuto dei Carmelitani

La Morte della Vergine sarà rifiutata dai padri Carmelitani proprio per la rappresentazione di Maria. Infatti, alla fine, la cappella Cherubini venne ornata con una Morte della Vergine di Carlo Saraceni, opera tanto impeccabile quanto di maniera. Dotata anche di un bel coro di angeli che dovette certamente assai compiacere i padri.

In realtà, questo non fu l’unico rifiuto che Caravaggio dovette affrontare nella sua carriera. Sempre in quei mesi, infatti, i palafrenieri pontifici rifiutarono la tela che avevano commissionato al Merisi per la loro cappella in San Pietro. Si trattava della famosa Madonna dei Palafrenieri subito acquisita dal cardinale Scipione Borghese per la sua collezione. In questo caso, la Madonna era risultata fin troppo mondana per i gusti dei committenti ma, viceversa, con per quelli del cardinal nepote di papa Paolo V.

Proprio pensando ai canoni dell’epoca, scrisse della Morte della Vergine Adolfo Venturi: “Sebbene rifiutato dagli altari esso è il quadro più profondamente religioso dell’arte italiana del seicento. Troppo sincero per l’ipocrisia dominante, troppo vero, di quella verità eterna, che accomuna il momento della storia sacra col dolore raccolto dell’artista. La luce scende dall’alto, crea un ritmo delle teste calve e chine e si ferma sul volto della Madonna. Anche la Maria in primo piano piegata dal dolore, appartiene a quel ritmo. Non c’è altro. Ma quello è il linguaggio di una luce ideale che rivela la realtà sconsolata, da cui nulla distrae o soltanto la tenda teatrale. Un uomo ha sofferto ed esprime la sua tristezza con solennità epica. Anche in questo quadro i colori, che pure, talvolta sono vivi, sono assorbiti dall’effetto di luce”.

Se volete consultare l’elenco completo delle opere di Caravaggio, cliccate Caravaggio: tutte le opere

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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