San Giovanni Battista adolescente, ritiratosi in eremitaggio nel deserto per prepararsi alla missione che l’attende, è abbandonato nella meditazione al di sotto di una vegetazione ombrosa, prostrato dal digiuno e dalle rinunce. Così lo coglie Caravaggio unendo, ancora una volta, il sacro ed il profano attraverso la scelta di un modello certamente non idealizzato, proveniente dalla vita di tutti i giorni.
Ne scrive infatti Roberto Longhi: “San Giovanni triste e insolente sotto i rami di vite solforata…”. Gli fa eco lo storico dell’arte americano Alfred Moir che a sua volta rileva come il modello, adottando una posa “notevolmente disinvolta…è rilassato, persino apatico; pare un sognatore, un po’ pigro, scontroso, opprimente, forse addirittura un efebo“.
E’ anche molto interessante quanto Moir rilevi circa le foglie sullo sfondo: “…le foglie in secondo piano sono evidentemente delle foglie di vite. Il fatto che l’ariete le stia rosicchiando potrebbe avere un ben preciso significato simbolico; l’ariete rappresenterebbe il divino amore dal momento che l’uva simboleggia il sacrificio di Cristo”. Ed infine, ad Alfred Moir sembra di riconoscere nel modello il medesimo del Sacrificio di Isacco degli Uffizi “ora di qualche anno più vecchio”.
Insomma, Caravaggio, come nella sua indole, non rinuncia ad affermare il suo punto di vista non rinunciando a raccontare la vita come egli l’incontra a Roma, a Napoli o dove altro si trovi. A questo proposito, e specificamente della figura di San Giovanni Battista, senza ripeterlo, rimando alle osservazioni contenute nell’articolo sul San Giovanni Battista della Galleria Corsini.
Resta da dire qualcosa sulla raffinatezza culturale, sull’assoluta mondanità e mancanza di bigotteria dei grandi estimatori del Merisi: il cardinal del Monte, i Giustiniani, Scipione Borghese. Uomini ai vertici della Chiesa di quegli anni che però sapevano guardare oltre le convenzioni.
La datazione dell’opera
Tutto ciò detto, il problema della datazione trova una sua soluzione naturale. Il primo San Giovanni Battista dipinto dal Caravaggio è del 1602, oggi a Toledo. Tela luminosa, ricca, quasi troppo. Dello stesso anno è quella della Pinacoteca Capitolina. Un paio d’anni dopo vi è quella oggi a Kansas City, più tenebrosa. Per poi arrivare, nel 1606 al San Giovanni Battista della Galleria Corsini.
Il nostro dovrebbe essere il più tardo tra i San Giovanni risalendo o agli ultimi momenti del soggiorno romano del Merisi (1606) oppure al periodo napoletano, forse anche al secondo momento del Caravaggio nella città partenopea.
Caravaggio San Giovanni Battista Borghese: la storia
Il punto è che esistono ottime probabilità che il San Giovanni Battista della Galleria Borghese sia una delle tre opere che Caravaggio aveva con sé nell’ultimo drammatico viaggio alla volta di Roma terminato, invece, con la morte a Porto Ercole.
Le tre tele erano destinate al cardinal nepote Scipione Borghese – avido collezionista del Caravaggio – che avrebbe dovuto garantirgli la grazia di papa Paolo V per l’assassinio Tomassoni. Del resto, Scipione possedeva già due tele del Merisi ottenute rocambolescamente dal sequestro di molte decine di tele proprietà del Cavalier d’Arpino (vedi articolo Bacchino malato: Caravaggio e il suo autoritratto).
A porre un punto fermo sulla vicenda fu il grande studioso di Caravaggio Vincenzo Pacelli. Egli, infatti, nel 1991, ritrovò, nell’Archivio Vaticano, cinque lettere di un carteggio proprio tra Scipione Borghese e il nunzio apostolico a Napoli Deodato Gentile.
Sintetizzando, la vicenda è la seguente. Caravaggio era un Cavaliere di Malta, sebbene espulso dall’Ordine. Quest’ultimo, aveva diritto ai beni dei suoi cavalieri all’atto della loro morte. Viceversa, Caravaggio era morto in suolo spagnolo, quale era lo Stato dei Presidi che comprendeva anche Porto Ercole e come era anche Napoli dove, appunto, era di stanza un Vicerè iberico.
Ma tutto questo poco importava al cardinal nepote che agognava metter le mani sulle tre tele.
Così, vista anche la rinuncia dell’Ordine ai beni del cavaliere espulso, Scipione mise il nunzio apostolico a Napoli a caccia delle tele pressandolo senza sosta (come le lettere dimostrano). Infatti, dopo la morte del maestro, le tre opere iniziarono a viaggiare riprendendo la strada verso Napoli (da dove, del resto, veniva la feluca sulla quale si era imbarcato il Merisi).
La Marchesa di Caravaggio
Tra l’altro proprio a Napoli, a Palazzo Cellammarre, vicino alla Riviera di Chiaia, viveva Costanza Colonna Marchesa di Caravaggio, altra grande protettrice del pittore. E Gentile Diodato ci racconta (anzi, lo racconta al cardinale Borghese) che la feluca (che faceva un servizio di linea) era ritornata a Napoli portando con sé gli averi del defunto: “La felucca ritornata riportò le robe restateli in casa della S.ra Marchese di Caravaggio che habita a Chiaia, e di dove era partito il Caravaggio. Ho fatto subito vedere se vi sono li quadri e ritrovo che non sono più in essere, eccetto tre, li doi San Gio.anni e la Maddalena, e sono in sud.a casa della S.ra Marchese, quale ho mandato subito a pregare che vogli tenerli ben custoditi, che non si guastino, senza lasciarli vedere o andar in mano di alcuno, perché erano destinati e si hanno da trattenere per V.S. Ill.ma”
I due San Giovanni sono uno quello del quale stiamo trattando. L’altro, probabilmente, il San Giovanni Disteso oggi in collezione privata a Monaco di Baviera.
Della partita è anche il Viceré spagnolo di Napoli, il conte di Lemos, il quale anche lui ha delle mire sui quadri in questione. Ma il cardinale Borghese riesce comunque a dimostrare di essere lui il committente di uno dei San Giovanni e così il 29 agosto 1611 esso prende la strada della sua collezione a Roma
Da allora in poi, la tela è pacificamente nella Città Eterna in possesso dei Borghese. Prima nel palazzo di Borgo, poi in quello di Campo Marzio (il Palazzo Borghese propriamente detto) fino a pervenire allo Stato Italiano nel 1902.
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