di Federica Veratelli
Nelle Fiandre del Quattrocento una parte significativa delle committenze è assicurata dalla ricca borghesia mercantile, fulcro dello straordinario sviluppo economico e commerciale che già a partire dal Duecento anima le città del Nord.
Proprio all’interno di questa grande comunità, vicina ai potenti, organizzata e compattata attorno al mondo degli affari, emergono gli interessi delle singole nationes di mercanti stranieri, che, soprattutto tra Tre e Quattrocento, scelgono di installarsi a Bruges.
Non è un caso che, tra le nationes straniere nelle Fiandre, quelle italiane siano quelle che, più delle altre, hanno sempre mantenuto viva l’attenzione degli storici dell’arte. Un primo fattore d’interesse è da ricercare nella eccellenza dei dipinti commissionati da membri delle comunità italiane a maestri fiamminghi.

Tra questi, Hans Memling fu probabilmente il maestro che, verso la fine del Quattrocento, godette di maggior popolarità in Italia – soprattutto a Firenze e in misura minore a Venezia – da dove la maggior parte dei suoi committenti provenivano, e dove alcune sue opere erano già conosciute e apprezzate.
Non è avventato affermare che i vettori di tale popolarità furono proprio i suoi committenti fiorentini e veneziani residenti a Bruges. Del resto è stimato che un buon 20% delle commissioni al pittore provenivano da clienti italiani, quasi tutti residenti per un certo periodo o di passaggio nelle Fiandre.
Ma perché Memling piaceva tanto agli italiani ?

Principalmente per la rivoluzione che egli seppe apportare al genere del ritratto, a partire dagli anni Settanta del Quattrocento, grazie all’inserimento di espedienti pittorici innovativi come gli scenari naturalistici ammirati dagli italiani e che ebbero una influenza enorme sullo sviluppo di questo genere nella pittura italiana coeva, o l’introduzione della posa di 3/4 e delle mani in primo piano che conferivano una allure di attualità. Non secondaria la capacità di questo pittore di interpretare i tratti psicologici delle varie categorie di italiani di passaggio, o quelli residenti in pianta stabile nelle Fiandre.
Chi erano questi committenti, e cosa facevano ?
La categoria più influente era quella dei mercanti-banchieri, quasi tutti di origine fiorentina, come nel caso dei membri della famiglia Portinari (Tommaso e i nipoti Folco e Benedetto), ovvero mercanti e banchieri operanti nelle filiali del Banco Mediceo, gli antenati degli attuali manager bancari dei giorni nostri. Si trattava di uomini spesso senza scrupoli che maneggiavano quantità enormi di denaro, e dai quali dipendevano i sonni dei potenti. Questi personaggi erano più stanziali, perché impegnati a costruire dei veri e propri imperi finanziari in loco.

Angelo Tani e Tommaso Portinari
È all’altezza di Gravelines che nell’aprile del 1473 il Trittico del Giudizio Universale di Memling cambia inaspettatamente rotta: la sua destinazione, infatti, non sarà più Firenze, ma una città baltica. La galea San Tommaso con a bordo il prezioso carico partita da Bruges stava cercando di raggiungere l’Italia, quando attaccata da una nave pirata della Lega anseatica guidata dal corsaro Paul Benecke, fu trasportata con tutto il suo carico a Danzica, dove il Trittico si trova ancora.
In accordo con la tradizione storiografica, il Trittico è classificabile tra le più importanti testimonianze artistiche della nazione fiorentina a Bruges, per la presenza tra le sue ante dei ritratti di alcuni dei suoi membri. Gli unici due identificati con certezza sulla base degli stemmi familiari, sono quelli del committente fiorentino Angelo di Jacopo Tani (1415-1492) e della moglie Caterina Tanagli (1446-1492).
Le tappe salienti della carriera del Tani presso il Banco Medici, spesso ripercorse proprio in rapporto a questa commissione, sono conosciute. Dopo il servizio presso la filiale di Venezia attorno al 1440, venne trasferito subito dopo nella filiale di Bruges e successivamente in quella di Londra (1448), per poi rientrare di nuovo a Bruges in qualità di direttore (1450) ruolo che ricoprì per almeno una quindicina d’anni, fino al suo trasferimento a Londra con la moglie dove giunse nel 1468.

Trittico del Giudizio Universale di Hans Memling
Probabilmente commissionato nel 1467 da un Tani novello sposo e realizzato negli anni immediatamente successivi, il Trittico è stato messo spesso in relazione al Polittico del Giudizio universale di Rogier van der Weyden, dal quale Memling e il suo committente, trassero ispirazione. Qui le sembianze dei due clienti tracciate da Memling nella sua fase giovanile, costituiscono una prima testimonianza delle indubbie capacità ritrattistiche di questo artista, che già in questa prima prova dimostra di saper cogliere con straordinaria immediatezza i tratti fisiognomici e psicologici di una categoria.
Tra le altre ipotesi di riconoscimento forse la più celebre e complessa ruota attorno al personaggio inginocchiato sul piatto destro della bilancia, il quale rappresenterebbe, secondo alcuni, Tommaso di Folco Portinari (1428-1501), l’antagonista cattivo del Tani, colui che lo scalzò rapidamente dalla guida della filiale medicea di Bruges. Nonostante questa interpretazione sia forse più legata alla tradizionale lettura del Trittico come un riflesso dell’antagonismo tra i due fiorentini, che sull’effettiva vicenda del criptoritratto stesso, l’importanza che questa figura di mercante-banchiere ha rivestito per la pittura fiamminga del Quattrocento è evidente.

Il Trittico Portinari di Hugo van der Goes
Lo troviamo infatti rappresentato da Hugo van der Goes nel celebre Trittico Portinari oggi agli Uffizi, assieme alla sua famiglia: la moglie Maria Baroncelli e ai primi 3 figli, Margherita, Antonio e Pigello Portinari. Poi, sempre assieme alla moglie, lo troviamo ritratto per ben due volte da Memling: nella splendida composizione devota che è la Passione di Torino, che oggi potete ammirare nella mostra alle Scuderie del Quirinale, e nel celebre doppio ritratto del Metropolitan Museum.

Tommaso Portinari: il doppio ritratto di Hans Memling

Questo doppio ritratto è una celebrazione di Tommaso come consigliere del duca di Borgogna. Dal fondo nero, probabilmente inserito per una volontà devota del committente, o per far risaltare certi attributi, emergono Tommaso, qui quarantenne e la giovane moglie Maria Baroncelli, pure figlia di mercanti, sposata nel 1470.
Entrambi sono vestiti di nero, il colore nobile della corte di Borgogna. Tommaso è pettinato alla moda maschile borgognona, Maria indossa l’hennin, il celebre copricapo a cono delle nobildonne fiamminghe, oltre ad un sontuoso gioiello e un prezioso abito alla moda fiamminga.
Tommaso evidentemente ha voluto farsi ritrarre come un nobile della corte, per sottolineare il suo stato di ambasciatore della nazione fiorentina a Bruges e di consigliere ducale.
Folco e Benedetto Portinari

Gli investimenti e l’impero finanziario costruito da Tommaso nelle Fiandre, venne lasciato nelle mani non dei figli, ma dei nipoti, Folco e Benedetto, figli del fratello di Tommaso, Pigello, direttore della filiale del Banco Medici di Milano, arrivati nelle Fiandre poco più che ventenni verso la fine degli anni Ottanta del Quattrocento.
Pigello fu il committente della Cappella Portinari in Sant’Eustorgio a Milano di cui potete leggere nell’articolo Sant’Eustorgio: Milano tra Rinascimento e Modernità.

I due sono entrambi dipinti da Memling in un altro doppio ritratto (uno conservato agli Uffizi e l’altro scomparso durante la seconda guerra mondiale), per il quale si avevano, fino ad oggi dei dubbi sull’identificazione dei due personaggi rappresentati. È grazie a documenti d’archivio dove i due fratelli sono citati come mercanti al servizio della corte di Borgogna e d’Asburgo, che è stato possibile confermare questa identificazione. Nei documenti infatti, i nomi dei due fratelli compaiono sempre uniti (Folque et Benedicte Portunari, frères…), come in questa sorta di dittico, in quanto soci in affari, soprattutto nel grande affare che era, per gli italiani, l’appalto della dogana commerciale di Gravelines. Acconciati all’italiana con il copricapo in feltro nero, sfoggiano in guisa di attributi gli stessi oggetti da loro commerciati: pelliccia per Folco, anelli con pietre preziose per Benedetto.
Non a caso sarà proprio compito dei due fratelli procedere ad una sorta di rigenerazione dell’albero genealogico, come indicherebbe il motto personale di Benedetto che appare nel retro dell’altro ritratto «De bono in melius», datato 1487, che potete ammirare in mostra e che fa parte del Trittico ora diviso tra Berlino e Firenze.
de bono in melius
Anche se il motto è di origine borgognona, il supporto della divisa con il motivo dell’albero è di ispirazione medicea e possiede un chiaro valore genealogico. Infatti, il tronco di una quercia da dove spunta un nuovo virgulto si riferisce ad un giovane individuo emergente nel seno di una dinastia della quale si vuole propagarne la gloria o correggerne gli sbagli. Per Benedetto, come per il fratello Folco, si trattava di riprendere gli affari dopo gli insuccessi dello zio Tommaso, in seguito alla bancarotta, ma procedere comunque sul cammino da lui tracciato, de bono in melius. E ancora italiani, infine, sono probabilmente le figure enigmatiche che stanno dietro ad altri ritratti di Memling, ancora senza un nome, ma che ci restituiscono probabilmente i tratti dei suoi committenti più influenti nella Bruges del Quattrocento: quelli italiani.
(Per approfondimento, si rinvia al saggio di Federica Veratelli “I tratti del potere. I clienti italiani di Hans Memling” pubblicato nel catalogo della mostra curato da Till-Holger Borchert, edito da Skira, 2014, pp. 53-66).
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