La Deposizione di Daniele da Volterra (1509-1566) nella chiesa di Trinità dei Monti a Roma è in genere considerato il capolavoro di questo maestro e, a tutti gli effetti, è un bell’esempio di quella Maniera predicata da Giorgio Vasari.
La Deposizione di Daniele da Volterra raccontata dal Vasari
E dunque chi meglio di Giorgio Vasari può raccontare questa tela di Daniele Ricciarelli più noto con il toponimico del suo luogo d’origine, Volterra:
“La signora Elena Orsina.. udendo molto lodare le virtù di Daniello, gli diede da fare una sua cappella nella chiesa della Santa Trinità di Roma… Onde Daniello mettendo ogni sforzo e diligenza per fare un’opera rara, la quale il facesse conoscere per eccellente pittore, non si curò di mettervi le fatiche di molti anni.
Dal nome dunque di quella signora dandosi alla cappella il titolo della Croce di Cristo nostro Salvatore, si tolse il soggetto de’ fatti di sant’Elena. E così nella tavola principale facendo Daniello Gesù Cristo che è deposto di croce da Gioseffo e Nicodemo ed altri discepoli, lo svenimento di Maria Vergine sostenuta sopra le braccia da Maddalena, ed altre marie, mostrò grandissimo giudizio e di essere raro uomo; perciocché oltre al componimento delle figure, che è molto ricco, il Cristo è ottima figura, e un bellissimo scorto, venendo coi piedi innanzi e col resto indietro. Sono similmente belli e difficili scorti e figure quelli di coloro che, avendo sconfitto, lo reggono con le fasce, stando sopra certe scale, e mostrando in alcune parte l’ignudo fatto con molta grazia”.
Siamo nel 1541 e così nella IV cappella sul lato destro della chiesa Daniele da Volterra realizza l’affresco della Deposizione. Anche la terza cappella – quella di Lucrezia della Rovere – conserva un ampio ciclo di affreschi, tra cui spicca l’Assunzione di Daniela da Volterra ed alcuni collaboratori.
Lo stacco d’affresco, i restauri, la nuova sede
Oggi, però, nella quarta cappella di destra non vi troverete la Deposizione. Infatti, tra il 1809 e il 1812 l’affresco venne staccato dal restauratore Pietro Palmaroli (1767-1828) per un intervento che era ormai improcrastinabile. L’opera rischiò di essere trasferita in Francia preda delle requisizioni napoleoniche ma, fortunatamente, così non fu.
La Deposizione ebbe però necessità nel 1822 di un successivo intervento di restauro che venne condotto da un altro importante restauratore di quegli anni, il barone Vincenzo Camuccini.
Fu però a quel punto trasferita a Villa Medici (la chiesa di Trinità dei Monti era ed è proprietà francese) ma grazie all’intervento degli Orsini riportata nella chiesa e posizionata in una prima fase nella Cappella Borghese (la prima sul lato di sinistra). Poi, a metà del XIX secolo trovò la sua attuale collocazione nella Cappella Bonfil, la seconda a mano sinistra dove ancora oggi si trova. Merita dire che la bella volta affrescata di questa cappella (anni ’70 del XVI secolo) è dovuta a Paolo de Cespedes e Cesare Arbasia.
Daniele da Volterra e Michelangelo Buonarroti
Daniele Ricciarelli fu prima allievo del Sodoma e di Baldassarre Peruzzi. Poi quando nel 1535 giunse a Roma con quest’ultimo, collaborò con Perin del Vaga incontrando la stima di Michelangelo (1475-1564) la cui influenza su Daniele si vede a colpo d’occhio. Non ha caso gli storici dell’arte dibattono se i cartoni per la Deposizione fossero in realtà di Michelangelo. Per dirla tutta, il Buonarroti era alquanto disponibile ad aiutare gli amici… leggete la storia della Flagellazione di Sebastiano Del Piombo.
A titolo di curiosità va citato che proprio a Daniele da Volterrà, da cui l’infamante soprannome di Braghettone, toccò nel 1565, morto il maestro, il triste compito di mettere le braghe ai personaggi nudi della Cappella Sistina.
Daniele da Volterra Deposizione di Trinità dei Monti
Tutto ciò detto, veniamo all’opera. Certo, non mancano i personaggi: se contate i volti, ne troverete quindici. Sono disposti attorno a due narrazioni: la Deposizione del corpo di Cristo e il disperato svenimento della Vergine.
Con la croce e le scale a dare sviluppo verticale, la costruzione della profondità è lasciata al corpo di Gesù (come puntualmente evidenzia il Vasari) e ad una serie di mani e braccia che si protendono vero lo spettatore al centro dell’opera.
Un vero e proprio trionfo di drappeggi e vesti colorate riempie la scena. Nonostante i restauri ottocenteschi, l’affresco deve aver perso in misura significativa la sua originale luminosità e le molteplici tonalità di colore che comunque, ancora oggi, lo caratterizzano.
Prendete il tempo che è necessario per ammirare la Deposizione di Daniele da Volterra. E’ una composizione fatta di mille particolari tutti da approfondire. Di anatomie michelangiolesche, di dinamismo accentuato ma mai fuori misura (guardate i tre personaggi maschili sul lato destro dell’affresco partendo da quello che si tuffa dalla croce come se avesse ali), di abiti dove la Maniera mette in mostra le mirabili capacità tecniche dei suoi maestri, di capacità di rappresentare tutta la paletta dei sentimenti del genere umano.
Un’opera che merita una tranquilla mattinata di visita a Trinità dei Monti ed al suo panorama sui quartieri di Roma dove vivevano e lavoravano i grandi maestri del nostro cinquecento e seicento.
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