A Monteriggioni, all’esterno della Porta San Giovanni, nota anche come Porta Fiorentina, troviamo una lastra in pietra che riporta una iscrizione: “Come in sulla cerchia tonda Monteriggion di torri si corona – Inferno_Canto XXXI”.
I versi, tratti dalla Divina Commedia, si riferiscono al momento in cui Dante e Virgilio si dirigono verso l’argine che separa l’ottavo cerchio dell’Inferno – detto Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti – dal nono.
Monteriggioni cantata da Dante
I due poeti procedono in silenzio, in modo incerto a causa dell’oscurità quando, d’improvviso, un assordante suono di corno li sorprende. Dante volge il suo sguardo verso il punto da cui proviene il suono e gli sembra di vedere alte torri; domanda pertanto a Virgilio: «Maestro, di’, che terra è questa?». Virgilio gli risponde che, a causa delle tenebre, non può vedere ciò che ha di fronte e lo invita ad avvicinarsi. Preso premurosamente Dante per mano, gli rivela, prima di procedere, che non sono torri, ma giganti, conficcati fino all’ombelico nel pozzo centrale di Malebolge. Dante, man mano che si avvicina alla cavità, può vedere sempre più distintamente ciò che ha di fronte e ne è intimorito: paragona gli “orribili giganti” che sovrastano con metà della loro figura la parete del pozzo alle torri di Monteriggioni che si ergono maestose sulla sua cinta muraria.
I Giganti avevano una statura e un corpo smisurato. Furono protagonisti di una guerra contro Zeus e, per raggiungere la vetta dell’Olimpo, sovrapposero una montagna all’altra. Zeus, con l’aiuto di tutti i suoi fratelli e dèi dell’Olimpo e persino del semidio Hèracle o Ercole, ebbe ragione e seppellì i Giganti sotto vari vulcani. La guerra è nota come Gigantomachia.
Gustave Doré (Strasburgo, 1832 – Parigi, 1883), celebre pittore, disegnatore e scultore francese ma che ha raggiunto i risultati più alti in veste di illustratore, ha raffigurato in questa incisione i tre giganti incontrati da Dante e Virgilio nel loro viaggio: Nembrot, Efialte e Anteo.

Nembrot, Efialte e Anteo: i giganti di Dante
Il primo gigante a cui si accostano è Nembrot che urla parole incomprensibili. Personaggio biblico, esempio di superbia e di rivolta contro Dio, secondo la tradizione Nembrot volle costruire, per raggiungere il cielo, la torre di Babele, ma Dio, confondendo i linguaggi dei lavoratori, vanificò il folle disegno. Per questo motivo, per contrappasso, la sua pena è quella di non essere capito e di non capire nessuna lingua.
Dante e Virgilio incontrano poi Efialte. Fu tra coloro che tentarono la scalata al cielo contro gli dèi olimpici, e quindi è condannato ad essere immobilizzato da possenti catene, per l’eternità.
Dante vorrebbe vedere anche il gigante Briareo, ma Virgilio gli dice che questi è troppo lontano e che comunque non è vera la tradizione che gli attribuisce cento braccia: egli è, nell’aspetto e nel modo della pena, del tutto simile a Efialte, anche se più feroce. Nell’udire queste parole, Efialte si scuote con rabbia, atterrendo Dante, che però si rassicura nel vedere le catene che lo immobilizzano.
Giungono infine di fronte ad Anteo. Questi non partecipò alla lotta dei Giganti contro Zeus, perché nato successivamente, ed infatti Dante lo descrive slegato. Acconsentendo alla richiesta di Virgilio, Anteo solleva delicatamente i due poeti e li depone sul fondo gelato del nono cerchio. Qui si trova il Cocito, un enorme fiume ghiacciato, sede e insieme strumento di pena dei traditori, “che divora Lucifero con Giuda”.