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Francesco Mochi: l’Annunciazione di Orvieto

L’ Annunciazione di Francesco Mochi nel Duomo di Orvieto cattura l’attenzione del visitatore. Le due statue dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine, così originali, poste sul limite esterno dell’abside, non possono passare inosservate.

Forse l’impatto visivo di questo gruppo scultoreo ne guadagnerebbe da un posizionamento più raccolto delle due statue, ma non si può avere tutto.

Duomo di Orvieto – Annunciazione di Francesco Mochi: la storia

I territori della Tuscia e dell’orvietano furono per secoli infeudati alle grandi famiglie romane o, comunque, vicine al papato. Tra di esse quella di Farnese presenti ad Orvieto fin dal XII secolo. Fu dunque naturale per Mario Farnese (1548-1619), duca di Latera (una giornata di cavallo da Orvieto) e capitano generale della Chiesa, proporre ai soprastanti della Fabbrica del Duomo di impiegare il suo protetto Francesco Mochi (1580-1654) per ornare con opere di scultura l’edificio sacro.

Gli esiti di questa presentazione non si fecero attendere. Infatti, nell’aprile del 1603, un Mochi poco più che ventenne e senza un’opera memorabile nel curriculum si vede commissionare l’Arcangelo Gabriele dell’Annunciazione della quale stiamo trattando.

A questa prima commissione ne seguiranno altre tre. Nel gennaio del 1608 la Vergine che andrà a completare l’Annunciazione. Poi, nel maggio del 1609, la statua di San Filippo, che va a comporre l’imponente schiera delle statue degli apostoli poste lungo la navata centrale del duomo. Infine, nel 1631, arrivò la commissione per il memorabile San Taddeo che potrete trovare quasi accanto a San Filippo.

Per dirla tutta, Francesco Mochi e i soprastanti del duomo non ebbero sempre rapporti idilliaci. Anzi, si trovarono discordanti sia su alcuni aspetti estetici che, forse peggio, riguardo ad alcuni compensi.

Se volete approfondire le statue di San Filippo e San Taddeo, cliccate Francesco Mochi: i Santi del Duomo di Orvieto

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Francesco Mochi – Annunciazione, Arcangelo Gabriele

L’Arcangelo Gabriele

Dunque, un Mochi forse non espertissimo ma certamente geniale si mette all’opera sulla prima commissione. All’inizio del 1605 consegna l’opera che, immagino, debba aver lasciato impressionati committenti e cittadinanza.

Perché questo Arcangelo Gabriele guarda al futuro. Il suo dinamismo è prorompente e, direi, dirompente. Lasciatemi riprendere il commento della storica dell’arte Maria Giovanna Sarti: “La scultura, di dimensioni superiori al naturale, fu considerata già dai suoi contemporanei … il capolavoro giovanile del Mochi che qui sembra offrire il proprio tributo al Giambologna, nell’ardito avvitamento e nello slancio della figura che «aggredisce» lo spazio in un senso già barocco, evidenziato dallo splendido e vaporosissimo panneggio che la avvolge e che giunge a una definizione sottilissima, quasi trasparente. Il Mochi si mostra qui tuttavia anche attento osservatore dell’arte classica, che proprio a Roma e a palazzo Farnese, già noto per la ricca collezione di antichità, poté conoscere e gustare appieno”.

Se certamente Francesco Mochi guarda al Giambologna, è altrettanto vero che questo angelo ha una leggerezza ed esprime una velocità formidabile. Siamo nel 1605. Gian Lorenzo Bernini è un bambino di sette anni, una generazione successiva a quella di Mochi, ed è un dato imprescindibile per comprendere l’innovatività del Mochi.

La statua fu pagata all’autore 600 scudi che gli erano stati saldati al momento della consegna a riprova del gradimento dei committenti. La Vergine. Di cui parleremo tra un attimo, fu pagata solo 525 scudi. Quando si trattò, successivamente, di saldare la statua di San Filippo il disaccordo sul compenso fu tale da far finire la questione di fronte ad un tribunale pontificio.

La Vergine caravaggesca di Francesco Mochi

Diciamolo, se immaginiamo la Vergine e l’Arcangelo Gabriele più vicini, alla distanza di una rappresentazione canonica, allora questa Annunciazione di canonico non ha nulla.

Gabriele, ritratto in volo su una nuvola, con il braccio sinistro indica l’Altissimo. Con il destro porge il giglio che originariamente aveva in mano. In realtà, però, è concentrato più sul suo ego che sulla Vergine. Nella Cappella di San Brizio, a pochi metri, alcune delle vele sono affrescate dal Beato Angelico assistito da Benozzo Gozzoli. Certo nelle loro Annunciazioni l’Arcangelo guardava inginocchiato la Vergine, non volteggiava autocompiaciuto nel cielo. Ma, si sa, il mondo evolve.

La Vergine, viceversa, è spesso stata ritratta sorpresa o preoccupata. Del resto non capitava tutti i giorni di trovarsi l’Arcangelo Gabriele di fronte.

Per la verità, però, la Vergine annunciata di Francesco Mochi è molto particolare e diversa dalla tradizione. In primis è molto fisica. Forse sarà anche l’altezza oltre il naturale (210 cm rispetto ai 185 dell’arcangelo), ma la Madonna è una donna possente. La veste che le fascia il corpo mette in mostra due gambe muscolose, le spalle forti. Definirei il suo sguardo crucciato e non remissivo.

Poi c’è quella mossa… La Vergine si è alzata di scatto. Usa il libro che stava leggendo come fosse uno scudo. Alzandosi si è poggiata con la mano destra sulla sedia portandosela appreso e mettendola su due gambe. Si è posta di sbieco all’Arcangelo Gabriele ed il suo corpo è inarcato verso destra. Una postura che, mutatis mutandis, è un po’ quella della Santa Caterina d’Alessandria di Caravaggio che però rimane seduta.

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Francesco Mochi – Annunciazione, La Vergine

Ma qualcosa non piacque…

Dice ancora benissimo Maria Giovanna Sarti: “Colta nel momento della conturbatio, mentre all’improvviso si alza dallo scranno per proteggersi, aiutata dal libro che tiene nella mano sinistra, la possente Vergine del M. è una «statua pagana» (Luzi, p. 278) nel profilo, nell’acconciatura, nella ponderatio che assume il corpo. Se validi rimangono i riferimenti avanzati dalla critica – una Musa inserita nel gruppo dei Niobidi alla Galleria degli Uffizi, ma già a villa Medici a Roma alla fine del Cinquecento (Mansuelli) – la figura finisce per mostrare una matura consapevolezza degli apporti derivati dalla statuaria antica, rielaborati con una maestria e un gusto tali da essere già perfettamente in linea con gli straordinari esiti successivi, dai monumenti piacentini alla Veronica vaticana”.

Vi fu qualcosa che però lasciò perplesso il clero orvietano. Tanto che ne rimase perplesso anche Giacomo Sannesio (1560-1621), elevato a cardinale nel 1604 da papa Clemente VIII Aldobrandini, e che fu vescovo di Orvieto dal 1605 fino alla morte nel 1621.

Sannesio era peraltro un uomo che apprezzava l’arte, anche quella non totalmente canonica. Infatti fu lui ad acquistare da Caravaggio le due prime versioni della Conversione di San Paolo e della Crocifissione di San Pietro dipinte per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo.

Comunque addirittura Pio IX nel 1857 chiese che l’Annunciazione di Francesco Mochi fosse rimossa dalla sua posizione vicina all’altare. Forse questa Vergine fortemente donna lo era troppo. Donna come erano donne, in modo però assai più sensuale, le Madonne del Merisi.

L’Arcangelo Gabriele e Il Sacrifico di Isacco

Evelina Borea, allieva di Roberto Loghi ed autrice di saggi tanto su Francesco Mochi quanto su Caravaggio, ha fatto notare la somiglianza dell’angelo del Sacrifico di Isacco di Caravaggio oggi agli Uffizi con l’Arcangelo Gabriele della nostra Annunciazione. Certamente è assolutamente simile il gesto della mano sinistra. Le due figure angeliche sono ambedue ricciolute ed i nasi dritti e taglienti. Un certa aria di famiglia c’è…

Quando Mochi si accinge all’angelo dell’Annunciazione di Orvieto, Caravaggio, di nove anni più grande, è un maestro già affermatissimo. Probabile che il primo abbia ammirato le tele del secondo. Quando Mochi realizza la Vergine, Caravaggio è ormai un pittore fuggiasco che, nel momento della sofferenza, realizza opere epocali, forse le più innovative che, però, difficilmente Mochi vide dal vivo.

Dunque, non forzerei il parallelismo oltre dove la prudenza vuole ci si fermi. Certamente, però, ambedue questi maestri – acclamatissimo il Merisi, meno fortunato il Mochi – furono precursori di quello che fu poi il Barocco ed, anzi, strumentali alla sua stessa nascita.

Sempre su Francesco Mochi leggi anche Francesco Mochi: il Battesimo di Cristo a San Giovanni dei Fiorentini.

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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