“Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la Croce che valeva scudi quindici d’oro”. Così Giorgio Vasari cita nelle sue Ricordanze il Cristo Portacroce dipinto per il banchiere fiorentino d’origine ma romano d’adozione Bindo Altoviti (Roma, 1491-1556).
In quell’anno Vasari era a Roma ospite proprio del “cordialissimo messer Bindo”, nella cui residenza romana affrescò anche la loggia con il Trionfo di Cerere, unica decorazione sopravvissuta alla distruzione del palazzo nel 1888 e dal 1929 ricollocata nel Museo di Palazzo Venezia. Si tratta delle ultime opere realizzate dal pittore a Roma, prima di tornare a Firenze per entrare al servizio di Cosimo I de’ Medici.
Giorgio Vasari Cristo Portacroce Altoviti: breve storia
Il dipinto, passato nel Seicento nelle collezioni Savoia, era considerato perduto, finché non è stato identificato con questa tavola recentemente comparsa ad un’asta ad Hartford (USA).
Bindo Altoviti è il prototipo dell’uomo di corte rinascimentale, dedito alle arti non meno che agli affari. Stimato da Michelangelo, che gli regalò uno dei cartoni della volta della Sistina, venne ritratto da Raffaello, Benvenuto Cellini, Francesco Salviati e Jacopino del Conte.
Il suo palazzo romano presso ponte Sant’Angelo, nella roccaforte del commercio bancario dell’Urbe, era “riccamente ornato di anticaglie e altre belle cose”, tra cui le decorazioni ad affresco eseguite da Giorgio Vasari. Fiero sostenitore della fazione antimedicea, venne condannato in contumacia da Cosimo I e morì a Roma nel 1556.
Tra gli artisti legati a Bindo Altoviti, un posto d’onore spetta certamente a Giorgio Vasari. Le fonti ricordano infatti numerose opere a lui commissionate, a partire dalla celebre pala dell’Immacolata Concezione della chiesa di Ognissanti a Firenze (1540-1541) fino a questo Cristo Portacroce del 1553.
Il Cristo Portacroce di Giorgio Vasari: l’opera
Osserva lo storico dell’arte fiorentino Carlo Falciani, nel saggio scritto in occasione della mostra Vasari per Bindo Altoviti. Il Cristo portacroce presso la Galleria Corsini:
“A fronte di dipinti coevi gremiti di figure dai gesti eloquenti e di attributi iconografici significanti, e nonostante la vicenda della salita al Calvario, dalla quale è estratto il Cristo con la croce, si prestasse all’inserimento di più personaggi, la figura del Salvatore, solitaria e monumentale, emerge maestosa dallo spazio scuro del fondo e riempie la tavola con una depurata semplicità tutta incentrata sul profilo, incorniciato dai riccioli e dalla barba inanellata, e sulle mani poderose. Una medesima semplicità Vasari la ottiene anche attraverso una tavolozza parca e austera nei toni, dove i bruni più o meno profondi sono messi a contrasto solo con il colore indaco della tunica indossata dal Cristo, senza indugiare in splendori metallici e decorazioni dorate, eccetto nello scollo, dove una banda appena lumeggiata di giallo, e bordata dal bianco di una veste sottostante, delimita il collo forte e teso nello sforzo del sostenere la croce. In accordo con tali scelte, anche lo sfondo bruno e monocromo è mosso solo dal legno scabro della croce, la cui austera e simbolica grandezza è appena articolata dal cerchio dei chiodi scuri che fissano l’asse orizzontale a quella verticale. Il legno venato e ruvido fa così da sfondo alla bella testa del Cristo che al pari delle mani diventa motore e fulcro dell’intera composizione”.
Nella mano destra Cristo trattiene gli strumenti della sua passione che si intravedono nella penombra. E’ vero, la concentrazione è assoluta e allora le spesso complesse e ridondanti scenografie vasariane hanno lasciato questa volta spazio ad un’opera essenziale, quasi da devozione privata.
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