Il Polittico di Badia di Giotto (1267-1337), oggi agli Uffizi a Firenze, fu realizzata intorno al 1300. Ovvero dopo le Storie di San Francesco nella Basilica Superiore di Assisi e, più o meno, all’epoca del primo viaggio a Roma collocabile a ridosso dell’Anno Santo del 1300.
Giotto Polittico di Badia: l’opera
La grande tempera su tavola (91 cm di altezza, 334 cm di lunghezza) si articola in cinque scomparti. Da sinistra a destra sono rappresentati San Nicola di Bari, San Giovanni Evangelista, la Vergine col Bambino, San Pietro e San Benedetto.
Ogni figura è come incastonata nella navata di una chiesa. Infatti ciascun scomparto ha ai lati due colonnine con capitello da cui si eleva una volta trilobata che termina in una cuspide triangolare. Un tondo con un busto di angelo arricchisce le cuspidi dei quattro santi. Al di sopra della Madonna con Bambino si trova invece un Cristo Benedicente.
Dunque un’impostazione di orientamento gotico e questo fatto non è casuale. Non solo perché ci troviamo negli anni estremi del XIII secolo ma anche per quanto andava accadendo nella Badia.
Badia Fiorentina: accenni di storia
La Badia Fiorentina si trova in pieno centro a Firenze. A Via del Proconsolo, di fronte al Bargello. E’ un’abbazia benedettina (di qui San Benedetto ritratto nel polittico) fondata nel 978 ricca di arte, di storia ma anche di storie…
Si vuole che qui Dante per la prima volta abbia visto Beatrice. Beatrice figlia del Folco Portinari ritratto da Memling e moglie di un Bardi. Qui Boccaccio tenne poi la prima lettura della Divina Commedia…
A noi però interessa un’altra cosa. Infatti Arnolfo da Cambio (1245 – primo decennio del ‘300) nel 1285 avviò un complessivo rifacimento in stile gotico dell’edificio: il medesimo stile del nostro polittico. Ma c’è un altro motivo per il quale Arnolfo è importante in questa vicenda….
Se vuoi vedere il immagini del Polittico di Badia in HD (110 MB), clicca QUI
La Storia del polittico
Vediamo però un attimo la storia affascinante dell’opera. I benedettini evidentemente commissionano la tavola a Giotto. Difatti, il Polittico di Badia è ricordato ed attribuito a Giotto sia dal Ghiberti nei Commentari (1450) che dal Vasari nelle Vite (1568) senza dubbio alcuno. Peraltro il Vasari doveva conoscere l’opera molto bene: tra un attimo vedremo perché.
Il polittico era posto sopra l’altare maggiore della Badia Fiorentina e lì si trovava benissimo. Purtroppo le mode vanno e vengono e nel 1568 la moda si chiamava Maniera. Così il polittico fu scalzato dall’altare maggiore ed al suo posto venne posizionata una pala proprio del Vasari.
Quest’ultimo era però il grande storico dell’arte che conosciamo, devoto a Giotto, e così il Polittico di Badia trovò posto nel refettorio. Passarono i secoli e arrivò Napoleone con l’esproprio delle proprietà religiose e di quanto in loro contenuto. Siamo nel 1810. Il polittico viene etichettato (per fortuna) onde attestare la sua provenienza dalla Badia Fiorentina e messo in deposito presso il Convento di San Marco (l’attuale museo). Da lì. nel 1813, venne trasferito a Santa Croce. Qui un inventario di metà ‘800 riporta un polittico di “anonimo assai pregevole dei tempi di Giotto ma di maniera assai differente”.
La riscoperta
A quel punto dell’originale provenienza del polittico e della sua attribuzione a Giotto si erano perse le tracce. Ma arriva la Seconda Guerra Mondiale e anche a Firenze le opere d’arte vengono messe al sicuro. Negli spostamenti conseguenti, lo storico dell’arte e funzionario della Soprintendenza Ugo Procacci individua sul retro di un polittico, conservato ancora nel Museo dell’Opera di Santa Croce, un cartellino con la dicitura “Badia di Firenze” e capisce cosa abbia di fronte… Così, nel 1958, ne dirige personalmente il restauro e gli Uffizi lo accolgono nelle loro Gallerie.
Oggi, come sappiamo, si trova nella memorabile sala delle Maestà nella compagnia, che più degna non potrebbe trovarne, delle tre Maestà di Cimabue, Duccio e Giotto.
Giotto: il Polittico di Badia tra Firenze e Roma
Fin qui i fatti. Adesso è il momento di passare alle suggestioni ed alle opinioni. Difficile mettere ordine nelle emozioni e procedere con logica.
In primis credo colpiscano i colori. Colori importanti, decisi, forti, moderni. Poi i panneggi ottenuti con decisi chiaroscuri. I panneggi di San Giovanni e di San Pietro ricavati sulle vesti lilla. Ma anche i panneggi, forse più difficili, ricavati sul blu della Vergine e sul nero di San Benedetto.
Ciò che mi colpisce poi è la volumetria delle figure ed ancor più dei volti. Guardate lo splendido San Benedetto dalla barba attorcigliata (strepitosa) o il severo San Pietro. Guardate il barbone di San Nicola.
Se, come sembra, ci troviamo alla fine del XIII secolo allora c’è da fare un ragionamento su Roma. Qui, sul finire del ‘300 vi furono contemporaneamente Giotto ma anche Arnolfo di Cambio, artefice gotico della Badia Fiorentina. Ma vi erano anche gli artefici della Scuola Duecentesca Romana, Pietro Cavallini in primis (1250-1330).
Arnolfo, Giotto e Cavallini
Tre protagonisti di una rivoluzione artistica che si incontravano, che si misuravano e che costruivano volumetrie naturalistiche che nulla avevano più in comune con l’astrazione dei visi bizantini.
Per molto tempo la famosa statua bronzea di San Pietro, custodita nella basilica dedicata al Santo, fu considerata di Arnolfo. In realtà è una statua romana del IV o V secolo. Ma guardate il viso e la barba del Santo: è o non è un viso che pensereste di Arnolfo, di Cavallini o di Giotto. E’ chiaro il punto? Alle spalle c’è l’arte antica e la sua riscoperta…
Nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere Pietro Cavallini dipinse il suo epocale Giudizio Universale del quale si sono salvati gli apostoli. Arnolfo di Cambio contemporaneamente realizzò il Ciborio (sopra nell’abside l’antico mosaico di Pasquale I). Siamo poco prima del 1295.
Lasciatemi immaginare che i tre grandi si siano incontrati un giorno in quella chiesa e che Giotto abbia visto quegli affreschi allora nel loro massimo splendore.
La Vergine col Bambino
Credo che un momento di attenzione particolare lo meritino la Vergine e il Bambino. Certamente c’è lo sguardo materno e sereno della Madonna. L’abile trasparenza del suo velo che lascia intravedere perfettamente l’orecchio destro. La veste con i suoi chiaroscuri. La mano sinistra che sorregge il Figlio particolarmente ben riuscita in un’epoca in cui le mani non erano proprio prodigiose.
Ma soprattutto c’è il Bambino. Fortemente dinamico, ha afferrato il collo della veste materna e tira a se la Vergine. E’ la mossa di un bambino vero, non del Bambino celeste. E’ il naturale di Giotto che prorompe. E, infine, guardatene il viso, da vicino: pensate un attimo a quanto sia lontano dal Bambino benedicente delle icone bizantine.
Scriveva di Giotto il Vasari: “divenne così buono imitatore della natura, che sbandì affatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di naturale le persone vive”. C’è poco da fare: il grande Giorgio ha sempre ragione!
Giotto: Approfondimenti
Sempre riguardo all’opera di Giotto, potete leggere:
- Giotto: il Polittico Baroncelli
- Mosaico della Navicella: Giotto in chiave barocca
- San Salvatore ad Ognissanti: Giotto Segreto
Le Maestà degli Uffizi
Se volete approfondire le tre Maestà degli Uffizi, collocate nella setssa sala del polittico, leggete:
- Cimabue: la Maestà di Santa Trinita
- Duccio di Buoninsegna: la Madonna Rucellai
- Giotto: la Maestà di Ognissanti degli Uffizi
5 Comments