La Pietà di Giovanni Bellini a Brera – o il Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni – è un capolavoro di un’epoca e di un luogo. Un’opera che esercita un fascino ed un magnetismo assoluti.
L’epoca è quella a cavallo della metà del XV secolo (1465-1470) quando il Rinascimento è ormai nel pieno di una vigorosa crescita che lo porterà di lì a poco a Leonardo e Michelangelo. Il luogo è Venezia dove Giovanni Bellini (1433-1516) costruisce un successo ed una bottega che non avrà rivali. Così come, nei medesimi anni, a Firenze sta facendo Andrea del Verrocchio (1435-1488)
A Giovanni Bellini il destino e la bravura regaleranno due allievi dell’importanza di Giorgione e Tiziano (come i più grandi artisti fiorentini passeranno per la bottega di Verrocchio) a cui darà e dai quali prenderà ispirazione.
La sua arte saprà evolvere continuamente nella sua lunghissima carriera tanto da far dire a Bernard Berenson: “La storia dell’arte quasi non annovera grande maestro in cui la fine meno si allontani dall’inizio come ne Mantegna e tanto se ne distacchi come nel Bellini“.
Qui siamo però siamo nel momento di massima tangenza dei due i quali, peraltro, si conoscevano assai bene essendo Andrea Mantegna cognato di Giovanni.
La Pietà di Giovanni Bellini di Brera: l’opera
Bellini è un disegnatore straordinario: è la perfetta definizione dei personaggi e di ogni minuto particolare a dettare i connotati dell’opera. Del resto, a Venezia i fiamminghi erano ben noti (e collezionati) e Giovanni Bellini guarda anche a loro.
Le tre figure – a grandezza naturale – hanno di fronte a loro una balaustra, che è poi il bordo della tomba Gesù, come in funzione di altare e di separazione tra chi osservi e le tre figure sacre.
Nel contempo però, la mano sinistra di Gesù, ancora contratta per il vulnus inferto dai chiodi, poggia sul medesimo parapetto creando un collegamento con lo spettatore.
In realtà, il rapporto tra spettatore ed opera è in questo caso particolarmente complesso. Dobbiamo, infatti, partire da lontano. Dall’arte bizantina (a Venezia Bisanzio era ben nota) dove al dipinto era attribuito il potere di far coincidere illusione e realtà: cioè Maria, Gesù e Giovanni sarebbero realmente di fronte allo spettatore.
Dunque, l’immagine dovrebbe produrre l’effetto di far vivere agli astanti le stesse emozioni che avrebbero provato se fossero stati realmente presenti nel tragico momento. Non a caso, Bellini sceglie di scrivere nel cartiglio (che è anche la sua firma) la frase: “Se questi occhi turgidi evocano gemiti, l’opera di Giovanni Bellini potrebbe piangere”.
Unità di illusione e realtà
C’è poco da fare. E’ impossibile staccare lo sguardo dal viso della Madre che sfiora quello del Figlio divenendo rappresentazione universale dello strazio di una madre che pianga suo figlio.
E’ come se la Vergine cercasse un ultimo sguardo dagli occhi chiusi del Cristo. Come se cercasse di percepire l’ultimo sospiro dalle labbra semichiuse.
Tutto il resto è perfezione e ricerca spasmodica della resa assoluta del particolare. Le mani, bianchissime quelle del Cristo, rosee quelle della Madonna. Le barbe ed i capelli. La sottilissima striscia di sangue sul sudario di Gesù colata dalla ferita del costato.
Il disegno, come detto, la fa da padrone. Ad iniziare dai visi dei personaggi. La scelta di avere come sfondo – dalle spalle in su – solo un cielo grigio leva ogni distrazione allo spettatore e porta ancor più verso le figure dei personaggi.
Giovanni Bellini Pietà Brera
Pinacoteca di Brera
Via Brera 28 – Milano
+39 02 72263 230
pin-br@beniculturali.it
www.pinacotecabrera.org
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