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Il Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina nel Sinai: tra visibile e invisibile

L’icona del Cristo Pantocratore custodita nel Monastero di Santa Caterina nel Sinai oltre che un capolavoro rappresenta una pietra miliare per la storia dell’arte.

Monastero di Santa Caterina nel Sinai: un tesoro irripetibile

Il Monastero di Santa Caterina è un luogo antichissimo: per l’esattezza il più antico monastero cristiano arrivato fino a noi. Infatti qui, alle pendici del monte Horeb, dove si trovava il roveto ardente presso il quale Dio apparve a Mosè, Sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) fece costruire nel 382 d.C. una cappella. L’imperatore Giustiniano (482-565) intervenne a sua volta costruendovi un monastero. Questo luogo fu poi sacro anche per l’Islam e questo è il motivo per cui è giunto fino a noi. Il monastero vide poi, nel IX secolo, il vero o presunto ritrovamento delle spoglie mortali di Santa Caterina d’Alessandria da cui poi prese il nome.

Come è facile capire, questo luogo mistico fu sempre meta di pellegrinaggi e di doni. Questi ultimi portarono al crearsi di una collezione unica e vastissima: in essa circa 4.500 codici manoscritti e 2.000 icone. Tra queste, alcune sono inestimabili per comprendere gli esiti finali dell’arte antica.

L’icona del Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina

Tra le icone della collezione ve ne sono almeno tre che per antichità e caratteri attraggono l’attenzione: il Cristo Pantocratore, San Pietro e la Vergine tra San Teodoro e San Giorgio.

Il Cristo Pantocratore è secondo alcuni databile al V secolo, cioè farebbe ancora parte di quel periodo detto Arte Antica. Secondo altri al VI secolo (cioè coevo delle altre due icone citate) ma ciò la renderebbe forse più preziosa perché dimostrerebbe che circa cinque secoli dopo la morte di Cristo l’arte classica era ancora pienamente viva e vegeta.

Dal punto di vista puramente estetico l’icona del Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina nel Sinai è di livello assoluto. Lo è per la resa dell’incarnato, del leggero movimento della barba, dello sguardo (di cui poi diremo), della mano benedicente quasi metafisica. Delle ombreggiature sapienti del viso che gli donano profondità.

Ma anche della scelta di far scendere la veste scoprendo la spalla destra di Gesù e dando così luce all’opera ed il colpo di colore della manica da cui sporge la mano che rompe lo scuro della veste. Infine c’è il testo sacro che Cristo regge con la sinistra: in una rappresentazione sostanzialmente bidimensionale basta lui a creare profondità.

Non a caso il Cristo Pantocratore del Sinai è diventata un’immagine che ancora oggi è tra le più rappresentate e venerate di Nostro Signore.

L’icona tra visibile ed invisibile

cristo pantocratore monastero sinai
Icona Cristo Pantocratore, Monastero S. Caterina Sinai

Nello sguardo straordinario del Cristo del Sinai si trova la prova di quanto afferma Maria Andaloro, storica dell’arte medievale di grande rilievo, in relazione al rapporto tra visibile ed invisibile nell’immagine di un’icona:

“L’icona invece… cerca di rendere visibile l’invisibile, lasciandolo tale, invisibile appunto. Come dice Giovanni Damasceno, ‘l’immagine non è una rappresentazione ma un’Apocalisse (Rivelazione)’.

Nel mondo classico invece, l’immagine ha altra qualità. Essa si apparenta alla concretezza del vestigium, si propone più o meno scopertamente come doppio del referente. Il naturalismo dell’arte classica riproduce il visibile dell’invisibile, mentre ‘l’arte bizantina e la pittura di icone sono quell’attività che al massimo hanno tentato di tenere insieme questi due estremi: l’identità e la differenza di visibile e invisibile, di umano e di divino, la tensione tra immagine e somiglianza’. Più che una presenza reale, l’icona assicura la presenza di uno sguardo… l’icona guarda ma non si fa guardare”.

Nello straordinario Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina nel Sinai c’è tutto questo. Il suo sguardo straordinario ci attrae verso ciò che non conosciamo mentre la perfezione della sua bellezza ci incanta.

I grandi occhi di Cristo

Gli occhi sono sempre stati il punto focale della ritrattistica antica come anche di quella bizantina e delle sue icone.

Pensate al ritratto di Terentius Neo e Moglie del Museo Nazionale di Napoli proveniente da Pompei. Agli occhi che raccontano l’anima dei ritratti del Fayyum. Pensate alle Madonne delle icone non solo bizantine ma anche di quelle dipinte sul suolo italico. Ad esempio la Madonna del Conforto di Santa Francesca Romana.

Forse perché proprio passando attraverso quegli occhi cerchiamo di vedere l’invisibile.

Terentius Neo e Moglie – Museo Nazionale di Napoli

Cristo del Sinai: i legami con la pittura antica

Il Cristo del Sinai ha un rimando diretto ai ritratti del Fayyum. Anche in questo caso siamo in Egitto, vicino al Nilo tra il II ed il III secolo d.C., in piena epoca romana. I ritratti su tavoletta sono ad encausto, cioè con la stessa tecnica della nostra icona, e venivano applicati sui visi delle mummie per tramandare le sembianze del defunto.

La loro bellezza è straordinaria, i loro occhi emozionanti. Sono di un livello a cui la nostra arte riuscirà a tornare solo nel Rinascimento. Se volete approfondirli vi consiglio Ritratti del Fayyum: splendore antico

L’icona del Sinai trova origine lì, nell’arte classica, e vi aggiunge il mistero.

L’uomo del mistero

L’osservazione non è mia e pertanto vi rimando al relativo articolo di Chiara Dal Corso. Ciò che dice è effettivamente verosimile. Provate infatti a osservare l’immagine coprendone prima una parte e poi un’altra con un foglio.

Dice la Dal Corso: “Le differenze sono notevoli, si vedrà che una metà del volto è più luminosa, distesa, serena, bella, dell’altra. E che l’altra presenta il sopracciglio sollevato, l’occhio gonfio e arrossato, il naso e la guancia un po’ pesti… anche le labbra sono un po’ sollevate in un’espressione di dolore. Sì questo lato presenta il volto di uomo che è stato picchiato, che ha sofferto molto. Rappresenta proprio Gesù nella sua passione, che ha vissuto e sofferto nella sua umanità. Gesù uomo e sofferente.
Mentre nell’altra metà capiamo che rappresenta Gesù risorto, Gesù che ha vinto la morte. Gesù Dio. Anche lo sguardo ci aiuta a capirlo: la parte sofferente guarda un po’ più in basso, verso di noi, e la parte luminosa guarda un po’ più in alto, verso il Padre”.

E così torniamo al visibile ed all’invisibile sapientemente illuminato da Maria Andaloro.

La temperie artistica tra V e VI secolo

Cosa accadeva nel bacino del Mediterraneo, culla di arti e civiltà, mentre pennelli sapienti dipingevano il Cristo Pantocratore? Parecchie cose, in realtà. A differenza di quanto si potrebbe pensare, la società romana con le sue grandi famiglie era ancora lì ed il mondo latino era ancora capaci di produrre grande arte. Ciò in differenti ambiti: mosaici, manoscritti miniati, affreschi… Per vedere più da vicino cosa accadeva, potete leggere:

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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