Entrare nella sacrestia di Santa Francesca Romana e trovarsi di fronte l’icona della Madonna del Conforto non lascia indifferente. Forse per le sue dimensioni, forse per la rappresentazione della Vergine diversa da tutte le altre icone che è possibile incontrare a Roma, forse per la sua storia unica o forse per quel filo che lega la visione di oggi al momento nel quale su dipinta sedici secoli fa: in ogni caso l’emozione è profonda.
La Madonna del Conforto: l’icona più antica di Roma
La Madonna del Conforto – o Imago Antiqua – è l’icona mariana più antica che si conservi nella Città Eterna. La datazione generalmente riconosciuta la pone ai primi decenni del V secolo, dunque in un momento addirittura anteriore o coevo alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
La tradizione vuole, tra l’altro, che la Madonna del conforto sia proprio l’icona portata in processione da San Gregorio Magno nel 590 per implorare la fine della peste che tormentava Roma e che si concluse con la visione dell’Arcangelo Michele che, sugli spalti più alti della Mole Adriana rinfoderava la spada.
Un’icona scomparsa per mille anni
L’icona era originariamente conservata in Santa Maria Antiqua, nel Foro Romano ai piedi del Palatino, ma nell’847 un terremoto distrusse la chiesa. La Madonna del Conforto venne però ritrovata e trasferita in Santa Maria Nova, costruita da papa Leone IV (847-855) subito dopo ed oggi recante il titolo di Santa Francesca Romana.
Il punto è che dell’immagine mariana, che sembrava essere stata messa al sicuro, apparentemente sparirono le tracce.
Passarono così circa mille anni fino a che, nel 1950, Pico Cellini, capo dei restauratori vaticani, si trovò ad intervenire sull’icona del XIII secolo che ancora oggi è possibile ammirare al centro dell’abside di Santa Francesca Romana.
Il destino volle che intervenendo su questa icona Pico Cellini riportasse alla luce l’Imago Antiqua.
Imago Antiqua: l’icona
Dell’originale icona del V secolo si sono in realtà salvati solo i due volti. Quello del Bambino molto deteriorato, quello della Vergine pressoché perfetto.
Possiamo solo supporre che l’Imago Antiqua sia stata danneggiata nell’incendio che all’inizio del XIII secolo colpì Santa Maria Nova e successivamente, forse in quegli stessi anni, si sia proceduto ad intervenire sull’icona.
Per capire cosa possa essere avvenuto, la soluzione migliore è leggere insieme quanto scrive Claudio Aita nel suo articolo del 2018 “Il restauro dell’icona di Santa Maria Nova a Roma da parte dell’ISCR”, ovvero:
“I volti (dell’Imago Antiqua) provengono da un unico tessuto di lino e sono ciò che rimane di una sacra immagine molto antica: vennero incollati come ritagli, in un momento imprecisato, sul piano di una tavola, come dimostrano i margini dei due frammenti, tagliati di netto. A occhio nudo si riesce a intravedere, in zone circoscritte, la struttura dell’ordito e della trama.
L’orientamento dei filati denuncia che i due lacerti pur appartenendo alla stessa tela antica, non sono disposti sul piano con tessiture parallele. Risulta evidente, perciò, che vennero uniti nell’attuale supporto in una fase successiva alla loro esecuzione e in un rapporto spaziale reciproco diverso da quello originale. Questo antico evento che non è supportato da fonti documentarie, garantì la sopravvivenza di ciò che rimaneva della tela originaria, creando quelle che a tutt’oggi viene considerata una delle più venerate icone romane. ……. Nel secolo VIII l’opera risulta rivestita di una coperta d’argento (riza) da cui emergono solo le due teste. Nel 1216 la chiesa di Santa Maria Nova, che custodisce all’epoca l’icona, subisce un incendio. Fra questo evento e il secolo XV, al di sopra dei due volti probabilmente danneggiati, sarebbero state applicate delle tele sottili con nuovi volti dipinti”.
Madonna del Conforto: la riscoperta di Pico Cellini
A questo punto si colloca la riscoperta dovuta a Pico Cellini. Seguiamola sempre nello scritto di Claudio Aita:
“Seguiamo ora passo dopo passo le fasi dell’articolato intervento “cellininiano”. Dopo aver rimosso le decorazioni metalliche applicate, Cellini affronta per primi distacco, pulitura e ricollocazione su nuovo supporto delle tele con le pitture dei volti medievali. Il distacco provoca lo strappo di finiture e lumeggiature superficiali della pittura più antica, che, come un’impronte al negativo, rimangono aderenti al retro della tela medievale.
Con i volti staccati Pico realizza una nuova icona: le due tele vengono fatte aderire a lastre di plexiglas trasparente per mezzo di colofonia e incastonate in un nuovo supporto di pioppo, forato ad hoc per renderne visionabile anche il retro, con le sue tracce di colore.
Il pannello viene quindi dipinto ex novo intorno ai volti, a somiglianza della figurazione di origine e prende il posto d’onore che era dell’icona sopra l’altare maggiore in chiesa, nel tabernacolo con le ante richiudibili, ove oggi risalta con i suoi adorni nuovamente applicati.
L’intervento sul dipinto antico prosegue, invece, con il consolidamento e lo spianamento delle parti di tela rialzate per mezzo di “pasta di cera”, la rimozione delle ridipinture ottocentesche sui busti, la reintegrazione pittorica a tratteggio sommario lungo le sconnessure e la presentazione estetica delle zone di fondo intorno alle due teste. Vengono eseguite anche delle operazioni sul rapporto, tra le quali il trattamento biocida e l’introduzione di un inserto ligneo nella sconnessura apparsa in corrispondenza della testa del Bambino, tutt’oggi molto evidente.
La Madonna più antica, così disvelata, trova quindi nuova collocazione sopra un piccolo altare nella sacrestia della chiesa”.
Dunque, nulla sappiamo di come fossero rappresentati originariamente i corpi della Vergine e del Bambino ma quello che appare evidente è che ci troviamo di fronte ad un’opera di dimensioni del tutto particolari. La tavola attuale misura 132×97 cm ma sono le dimensioni del volto della Vergine a destare più impressione.
E’ evidente che San Gregorio Magno portasse in processione non una piccola immagine ma un’icona di dimensioni notevolissime.
L’iconografia: qualche considerazione
E’ sempre arduo formulare ipotesi su opere così antiche per il semplice fatto che la deperibilità dei materiali ci consente rari confronti.
Certamente, dell’Imago Antiqua colpiscono i grandi, grandissimi, occhi neri. Gli occhi della Vergine sono un segno distintivo delle icone: quando si collega, come si legge spesso, la Madonna del Conforto alla pittura egiziana credo si abbiano in mente proprio i grandi occhi delle donne (ma anche degli uomini) dei ritratti del Fayum. Ed anche i loro nasi, alle volte così dritti e stilizzati come quello della nostra icona. La bocca è, invece, eccezionalmente piccola, rispetto ai modelli citati.
Aggiungerei che la Madonna del Conforto (dipinta due o tre secoli dopo i ritratti del Fayum) è come un distillato di questi ultimi: un’immagine privata dei suoi connotati umani e terreni per divenire archetipo, rappresentazione quasi astratta.
Non so dire se si tratti, appunto, della ricerca di un archetipo che si ponga al di fuori del tempo e dunque sia sacro poiché non più immediatamente riconducibile ad una forma umana, oppure, semplicemente, del limite soggettivo nella tecnica di chi realizzò l’icona.
Nel mentre ragioniamo su queste ipotesi, resta l’immensa emozione che la vista dell’Imago Antiqua suscita: un’emozione che rimane dentro e supera ogni considerazione estetica che si voglia porre.
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