Siamo intorno al 1520 quando gli Antinori commissionano a Giovanni Della Robbia (Firenze 1469–1529) la lunetta dedicata alla Resurrezione per il loro Palazzo di Brancolano poi noto come Villa delle Rose.
Un’opera di imponenti dimensioni (175 cm di altezza per 365 di lunghezza), costituita da 25 formelle di terracotta a cui aggiungono le 21 che formano la ghirlanda, in cui le figure sono ritratte a dimensione poco meno che naturale.
Lunetta Antinori: la storia
Sull’esatta genesi della sua committenza esiste qualche dubbio. Partiamo però dal personaggio ritratto nella lunetta: Niccolò di Tommaso Antinori (1454-1520) al quale si deve la costruzione proprio del Palazzo di Brancolano.
Gli studiosi dei Della Robbia ritengono che la Lunetta Antinori sia da collocare negli ultimi anni della produzione di Giovanni Della Robbia, terzo e ultimo reggitore della bottega di famiglia dopo Luca e Andrea. Dunque ci troviamo in un momento nel quale Niccolò di Tommaso Antinori poteva aver già lasciato questa terra.
Niccolò potrebbe perciò esserne il committente ma potrebbe non averla mai vista ultimata. Oppure, il committente potrebbe esserne stato il figlio Alessandro proprio in memoria del padre. Oppure, infine, Alessandro potrebbe aver portato a compimento un’intenzione o una committenza del padre Tommaso.
Comunque sia andata, dal terzo decennio del XVI secolo la Resurrezione di Giovanni della Robbia, nota anche come la Lunetta Antinori, andò ad ornare la Villa delle Rose. Probabilmente andò prima ad impreziosire la cappella della villa e poi fu trasferita nel loggiato dal quale si accede all’edificio. Comunque, i secoli trascorsero tranquillamente fino alla fine del XIX.
La Resurrezione Antinori lascia Firenze
Nel 1898 infatti, Aaron Augustus Healy, imprenditore e collezionista d’arte americano, presidente del Brooklyn Institute of Arts, l’acquista e ne fa dono al Brooklyn Museum che ancora oggi custodisce la Lunetta Antinori.
La vicenda dell’esportazione della grande Resurrezione robbiana si presta ad un piccolo giallo. La lunetta fu infatti pagata diecimila lire: una cifra molto importante e la sua esportazione fu curata dal mercante d’arte Alessandro Olivotti.
I funzionari statali videro l’opera già smontata e non si peritarono di farla ricomporre, nemmeno su un pavimento. Incredibilmente, la giudicarono “lavoro piuttosto molto rozzo che non sembra nemmeno della Bottega dei Robbia”. Però considerarono congruo il prezzo che era invece molto importante, allineato verso l’alto con le quotazioni di simili compravendite dell’epoca. Insomma, una situazione contraddittoria.
La Resurrezione di Giovanni della Robbia: rutilante sipario teatrale
Ad ammirare oggi la Lunetta non credo vi possano essere dubbi sull’eccellenza della sua fattura ne sull’importanza dell’opera in termini iconografici.
Il Cristo Risorto, in piedi in una mandorla, occupa la parte centrale della Lunetta. Ad ogni lato sono poste tre figure: un angelo (in alto) e due soldati (nella fascia inferiore). Ricco il paesaggio retrostante che richiama i panorami toscani. Splendida la cornice a ghirlanda che cinge la lunetta: un trionfo di frutti e di piccole creature (dallo scoiattolo al granchio) disseminate ovunque.
Dice benissimo Giancarlo Gentilini nel suo saggio inserito nel catalogo della mostra dedicata alla Resurrezione Antinori al Museo del Bargello di Firenze dal titolo “Da Brooklyn al Bargello”: “…non potrà certo dimenticare il sorprendente, spettacolare impatto della grandiosa Resurrezione Antinori che introduceva il percorso espositivo come un suntuoso, rutilante sipario teatrale. E mi piace pensare che i suoi animati, suggestivi personaggi dai pittoreschi, sgargianti costumi e le fantasiose corazze, come ‘pupi siciliani’ balzati sulla scena, il seducente sfondo alberato, così evocativo del paesaggio toscano, la lussureggiante ghirlanda di agrumi e verzure, popolata da curiosi animaletti che paiono usciti da una fiaba ‘disneyana’, abbiano soddisfatto e sollecitato il gusto contemporaneo, avvezzo alle ludiche sculture ‘neo pop’ di Jeff Koons o al citazionismo ‘mediterraneo’ degli abiti di Dolce & Gabbana, ben oltre le nostre preoccupazioni storiche e filologiche”.
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