La Madonna Gualino oggi alla Galleria Sabauda di Torino è considerata l’opera più antica di Duccio di Buoninsegna (Siena 1255-1319) dipinta tra il 1280 e il 1283.
La Maestà: la Madonna in trono
Si tratta di una Maestà, cioè di un dipinto che vede un personaggio sacro assiso in trono. Spesso, come nel nostro caso, si tratta della Madonna con in braccio il Bambino, tipicamente l’opera ha dimensioni particolarmente significative. Il genere della Maestà ebbe particolare diffusione tra la seconda metà del XIII secolo ed il XIV: noi ci concentreremo sul primo periodo.
Una Maestà particolarmente antica è la Madonna di San Martino, databile alle metà del XIII secolo e custodita nel Museo di San Matteo di Pisa. Di poco successiva è quella dipinta intorno al 1260 da Coppo di Marcovaldo (1225-1276) e oggi custodita nel Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto.
Avvicinandoci al nostro argomento specifico, la fine del XIII secolo vide i più grandi maestri fiorentini e senesi intenti in questo genere. Così potremmo citare Cimabue (1240-1302) per la Madonna di Santa Trinita, per la Maestà di Santa Maria dei Servi a Bologna (1280-1285), per le Maestà di Assisi (1285-88) e del Louvre (1289). Anche Giotto si cimentò in questo tema ma, data la sua più giovane età, in anni successivi. Ad esempio la Maestà di Ognissanti del 1310 oggi agli Uffizi.
Duccio di Buoninsegna: la Madonna Gualino
Duccio di Buoninsegna fu anche lui attivo in questo ambito e vanno ricordate la Madonna Rucellai (1285) e la straordinaria Maestà del Duomo di Siena.
La Madonna Gualino rientra di diritto nel novero dei capolavori fin qui citati. Di dimensioni più contenute rispetto alle “colleghe” (157×86 cm), più parca in termini di numerosità dei cori angelici e degli stuoli di santi, ha però pregi che la rendono unica.
Dal punto di vista degli studiosi, certo vale il fatto che sia la prima opera (nota) di Duccio e quindi il punto di partenza per conoscerlo.
Molto si è discusso sulla paternità dell’opera. Inizialmente fu attribuita a Cimabue anche da Lionello Venturi (1885-1961), storico dell’arte insigne e curatore del catalogo della Collezione Gualino quando quest’ultima era ancora nella proprietà del suo creatore. Poi, si è fatta strada l’attribuzione a Duccio di Buoninsegna oggi generalmente condivisa dal mondo accademico. Del resto, tenendo in considerazione la vicinanza di questa Madonna allo stile di Cimabue, va sottolineato come Cimabue fu (probabilmente) maestro di Duccio e che questa è un’opera giovanile del senese.
Madonna Gualino: l’unicità del colore
La grande novità di questa Maestà sta nel colore. Dice magnificamente Lionello Venturi come quello della Madonna Gualino sia: “..Un colore riformato di fronte a quello bizantino. … (la) Madonna Gualino può essere considerato il punto d’arrivo del colorito italiano del duecento. Nel bruno, nell’amaranto, nell’azzurro, nell’oro si conserva ancora la tradizione bizantina; ma negli accordi di lilla e di rosa, di giallo pallido e di cilestrino, una sensibilità tutta nuova si rivela, preparata forse dai miniaturisti ma che assume nella grande pittura un valore di risalto formale e psicologico affatto impensato. E’ uno squillo di vita fresca e giovanile apparso in mezzo alle cadenze di una secolare tradizione chiesiastica”.
Mi permetto di aggiungere come unici nel panorama delle Maestà prima citate siano la postura ed il dinamismo del Bambino. Questi è infatti in piedi, in una spettacolare veste violetta, come per aggrapparsi alle vesti della Madre per abbracciarla.
La storia dell’opera
La storia della Madonna Gualino è quasi la sceneggiatura di un film di Indiana Jones e merita il racconto. Nel XVI secolo la tavola era stata ridipinta in stile manierista rappresentando sempre una Madonna con Bambino. Con quelle sembianze venne messa sul mercato intorno al 1910 dall’antiquario fiorentino Pavi. Fu acquistata prima dal fiorentino Egidio Paoletti e poi, liberata dalla ridipintura, dall’industriale romagnolo Giuseppe Verzocchi (1887-1970) che la pagò 350.000 lire.
A questo punto era chiara la qualità della tavola e la sua possibile attribuzione ad un grande maestro quale Duccio. Così la Maestà passò di mano e Verzocchi la rivendette per 700.000 lire all’antiquario Carlo Balboni. Questi prima la portò a Vienna (contro il parere del Consiglio Superiore delle Belle Arti) dove però non riuscì a chiuderne la vendita al locale museo. Quindi la riportò in Italia cercando miglior fortuna.
Qui avvenne il pasticcio in quanto Balboni avviò due trattative parallele con il finanziere torinese Riccardo Gualino e con il mediatore di un museo di Boston.
Durante queste fasi concitate l’opera venne addirittura esposta nel museo di Vienna risultando nel 1924 di proprietà del governo austriaco. Nel 1925 Gualino riuscì infine ad acquistarla anche grazie all’intervento del Ministro dell’Istruzione italiano venne acquistata da Gualino.
Nonostante ciò l’opera partì comunque per Boston e venne recuperata solo a seguito del sequestro della stessa e della sentenza del tribunale di Genova che ne riconosceva la legittima proprietà a Riccardo Gualino.
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