Storia dell'arte

Duccio di Buonisegna: la Madonna Rucellai

La Madonna Rucellai di Duccio di Buonisegna dominerebbe con le sue impressionanti dimensioni (450×290 cm) qualsiasi scena. Probabilmente era così anche allora, alla fine del XIII secolo, a Firenze in Santa Maria Novella.

Duccio di Buonisegna: la Madonna Rucellai

La grande Maestà di Duccio di Buonisegna è anche nota come Madonna dei Laudesi poiché furono costoro a commissionarla per la loro cappella in Santa Maria Novella. . La Compagnia dei Laudesi, una confraternita assai quotata all’epoca, dedicava la sua fede alla Vergine della quale cantava, appunto, le lodi.

Si conferma così, nella committenza della Maestà tra ‘200 e ‘300, quel legame a doppio filo tra devozione alla Madonna e commissione di Maestà. Infatti, grandi committenti di tale tipologia di opere fu l’ordine dei Servi di Maria, clienti di Coppo di Marcovaldo, Cimabue e Duccio di Buoninsegna per le loro chiese di Orvieto, Firenze, Bologna e Siena.  Oppure, come in questo caso i Laudesi.

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Duccio di Buoninsegna – Maestà Rucellai

Madonna Rucellai: committenza e collocazione

Caso più unico che raro per un’opera del ‘200, di questa tavola abbiamo il documento con la quale venne commissionata il 15 aprile 1285.

La Maestà di Duccio di Buoninsegna prese così posto nella cappella della Compagnia che divenne poi la Cappella Bardi intorno al 1335 quando questa antica famiglia ne acquisì il patronato. Nel 1591 la Maestà venne poi spostata, sempre nel transetto destro della Basilica, nella attigua Cappella Rucellai, da cui il nome con il quale è più nota. Qui rimase per quasi tre secoli e mezzo fino a quando nel 1948 venne trasferita agli Uffizi.

L’opera

madonna rucellai uffiziLa Maestà dei Laudesi è un’opera che, coerentemente con la sua epoca, rifletta ancora i canoni stilistici bizantini ma guarda al nuovo che va nascendo.

Se infatti l’impostazione generale delle figure della Vergine e del Bambino risente di tali canoni, se ne distaccano poi nei particolari. Se il viso della Vergine inizia a trovare una sua espressività umana, ciò che mi colpisce maggiormente è il suo mantello.  Non solo per le pieghe ottenute attraverso il chiaroscuro ma soprattutto per la frangia d’oro che lo orna. Questa, maggiormente nell’orlo ai piedi di Maria, è mossa, dinamica ed il suo blu muta nell’affascinante lilla della veste.

Mi perdonerete se cito per l’ennesima volta quanto Lionello Venturi scrisse per la Madonna Gualino (appena precedente alla Maestà Rucellai) e sempre opera di Duccio di Buoninsegna: “..Un colore riformato di fronte a quello bizantino. … (la) Madonna Gualino può essere considerato il punto d’arrivo del colorito italiano del duecento. Nel bruno, nell’amaranto, nell’azzurro, nell’oro si conserva ancora la tradizione bizantina; ma negli accordi di lilla e di rosa, di giallo pallido e di cilestrino, una sensibilità tutta nuova si rivela, preparata forse dai miniaturisti ma che assume nella grande pittura un valore di risalto formale e psicologico affatto impensato. E’ uno squillo di vita fresca e giovanile apparso in mezzo alle cadenze di una secolare tradizione chiesiastica”.

La presenza poi degli angeli consente a Duccio di mettere sulla tavola sfumature diverse di colore nelle vesti di questi ultimi.

Il Bambino: un ritratto di oggi

La figura che però mi colpisce maggiormente è quella del Bambino. E’ un ritratto assolutamente naturalistico. Assai più dinamico anche del Bambino dipinto da Giotto nella Maestà di Ognissanti ospitata oggi nella medesima sala degli Uffizi.

Se Giotto propone una maggior volumetria del volto, Duccio dal al Bambino (rappresentato di tre quarti) un dinamismo e una naturalezza sorprendenti.

Poi c’è la veste. Si è vero, sarà pure una veste all’antica con un panneggio bizantineggiante ma vogliano guardare alla trasparenza della veste bianca orlata d’oro? Mi prendo le mie responsabilità: il Bambino di Duccio mi impressiona assai più che quello di Giotto.

Il trono di una Regina

duccio di buoninsegna uffiziNella Madonna Rucellai l’apertura di Duccio di Buoninsegna al gotico è evidente ed il trono ne fa parte. Solo un richiamo veloce alla sua posizione un po’ di traverso per cercare la profondità. La resa della prospettiva del trono non è priva di difetti ma i suoi particolari e la sua coloritura sono ragguardevoli.

Ciò che però mi colpisce maggiormente è la suntuosità del drappo alle spalle della Vergine ma anche la struttura dalla quale è sorretto. Se infatti la guardate con attenzione, scoprirete che la spalliera del trono è dotata di sei aste collegate tra loro da volte di legno e terminanti in puntali. Nel secondo puntale sia da destra che da sinistra si vede bene il lacciolo che, agganciato al puntale, sostiene il drappo.

Madonna Rucellai: la cornice

Una Maestà di tale pregio necessitava di una cornice adeguata. Perché non commissionarla all’autore della tavola stessa? E così, immagino, proprio andò.

Questo capolavoro nel capolavoro è infatti decorato con trenta piccoli tondi ognuno dei quali ritrae un santo a mezza figura. Nel lato basso della cornice sono rappresentati tra gli altri (così dicono gli esperti), con il saio bianco e nero dei frati domenicani, il fondatore dell’ordine San Domenico e San Pietro da Verona (detto anche San Pietro Martire): del resto Santa Maria Novella era retta appunto dai Domenicani.

Maestà tra Duecento e Trecento: Approfondimenti

Una Maestà della Vergine è la rappresentazione della Vergine in trono con il Bambino in grembo, circondata da una corte di angeli e, alcune volte, anche di santi. Tipicamente, si tratta di opere di dimensioni considerevoli destinate ad uno spazio preminente nell’edificio sacro a cui erano destinate. Questa iconografia trovò una particolare diffusione tra XIII e XIV secolo.

Su ArtePiù potete trovare diversi articoli dedicati ad alcune delle maggiori Maestà giunte fino a noi:

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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