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Maestro di Hartford e Caravaggio: il dialogo segreto…

Il Maestro di Hartford e il mistero della sua identità, il fatto che con lui nasca la natura morta così come la concepiamo oggi ed il rapporto di tutto ciò con Caravaggio appassionano gli storici dell’arte da circa un secolo.

Nomi famosi si sono cimentati nell’impresa di capire chi fosse realmente ma fin qui senza un esito definitivo. Ne consegue quindi che non scoprirete in questo articolo chi sia il Maestro di Hartford ma elementi e circostanze intriganti non mancheranno.

Maestro di Hartford: il perché del nome

Come accade fin dagli albori della storia dell’arte, quando più opere presentino caratteri comuni che rendano ipotizzabile uno stesso autore di cui però non si conosca l’identità, allora convenzionalmente si individua un nome di fantasia in qualche modo collegato alle opere.

Hartford è la capitale del Connecticut e qui ha sede il museo d’arte del Wadsworth Atheneum che custodisce la tela considerata la più rappresentativa del gruppo delle opere di nostro interesse.

Scipione Borghese e il Cavalier d’Arpino

La prima circostanza intrigante è come si sia costituito il nucleo primigenio delle opere attribuite al Maestro di Hartford. Scipione Borghese (1577-1633) cardinal nepote di Paolo V era un avido collezionista d’arte. Fu peraltro l’iniziatore della collezione oggi nella Galleria Borghese. Era anche un ammiratore di Caravaggio del quale possedeva la Madonna dei Palafrenieri ma, si sa, l’appetito vien mangiando…

Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino (1568-1640), era il pittore dei grandi casati nella Roma di fine XVI secolo. Ebbe anche a bottega per breve tempo il Caravaggio e alcuni amici di quest’ultimo, tipo Prospero Orsi.

maestro di hartford
Maestro di Hartford – Vasi, fiori e frutta su tavolo

Il Cavalier d’Arpino dipingeva con i suoi collaboratori a spron battuto ma commerciava anche. Così la sua bottega era in realtà una galleria colma di tele, disegni, oggetti…. e opere di Caravaggio.

Raccontare per intero la storia richiederebbe un romanzo e, peraltro, nessuno può giurare di conoscere la versione reale. Ufficialmente, però, il Cesari venne accusato di detenere illegalmente nella sua abitazione delle armi. In realtà, si sarebbe trattato di armi da collezione, archibugi per la precisione. Ma tanto bastò. Un avviso pontificio del 2 aprile 1607 (ancora oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana) ci certifica questo fatto e la successiva confisca dei suoi beni. In realtà, il Cavalier d’Arpino non ebbe grande possibilità di manovra perché per quel reato rischiava la pena di morte.

Va detto, tra l’altro, che mentre con il precedente papa, Clemente VII Aldobrandini, il Cesari aveva un rapporto di ferro, la sua relazione con Paolo V non era particolarmente stretta.

Ciò che non è chiaro è il perché si concretizzò questa vicenda ai danni del Cavalier d’Arpino. Fu Scipione Borghese ad ordirla per entrare in possesso della collezione del malcapitato?

La quadreria passa di mano

Negli anni ’30 lo storico dell’arte e direttore della Galleria Borghese Aldo De Rinaldis rivela un documento fondamentale. Conosciamolo nelle sue parole:

“Nell’archivio della Galleria Borghese si conserva (estratto dalla Biblioteca Borghesiana, I, 27, cart. 329) una “Fede della composiz.” fatta dal Sig. Cavalier D’Arpino con il Fisco per li quadri di Pittura levatigli dal Fisco, et da N.r° Signore (il papa Paolo V, n.d.r.) donati al Card. Borghese, et ratifico e fatta dal detto Cavaliere” in data 4 maggio 1607. Sono allegati a questo documento: una lista degli oggetti d’arte (centocinque quadri, oltre a disegni, stampe, sculture in gesso e in bronzo) “levati di casa del Cavalier d’Arpino dal fiscale di Paolo V… l’atto della donazione fatta degli oggetti stessi da Paolo V al cardinale Scipione Borghese suo nipote, il 30 luglio 1607; l’atto di ricevuta rilasciato dal detto cardinale il 30 agosto dello stesso anno”. Per leggere l’articolo completo clicca Aldo De Rinaldis Caravaggio e D’Arpino

In pratica, il papa prima sequestra la quadreria al Cavalier d’Arpino e poi la dona al suo cardinal nepote che la mette in collezione… La vicenda si presta ad interpretazioni maliziose…

Maestro-Hartford-Vaso con fiori,alzatina con fichi, cesta con uva e frutta su tavolo

Caravaggio e il Cavalier d’Arpino

Caravaggio e il Cavalier d’Arpino si conoscevano bene. Intorno alla metà dell’ultimo decennio del ‘500 (1593 o giù di lì) Michelangelo Merisi aveva lavorato nella bottega di Giuseppe Cesari. Dipingendo cosa, però?

Qui ci viene in aiuto Giovanni Pietro Bellori, biografo del Merisi: “(Caravaggio) dalla necessità costretto andò a servire il Cavaliere Giuseppe d’Arpino, da cui fu applicato a dipingere fiori, e frutti si bene contraffatti, che da lui vennero à frequentarsi à quella maggior vaghezza, che hoggi tanto diletta. Dipinse una caraffa di fiori con le trasparenze dell’acqua, e del vetro, e co’ i reflessi della fenestra d’una camera, sparsi li fiori di freschissime rugiade, & altri quadri eccellentemente fece di simile imitatione.”

Dunque, nella bottega del Cesari Caravaggio dipinge nature morte tanto belle da divenire un punto di riferimento.

Ma non dipinge solo nature morte ma anche figure umane. Vi dipinge (per lo meno) il Fanciullo con canestro di frutta ed il Bacchino malato. Guarda un po’, nel 1607 le due tele erano ancora nella quadreria sequestrata al Cesari e finita dritta dritta nella Galleria Borghese.

Conclusione: Scipione Borghese, in un colpo solo si porta a casa due tele certe del Merisi ed un certo numero di nature morte sulla cui attribuzione si è discusso per circa cento anni.

Il Maestro di Hartford e le nature morte Borghese

La quadreria del Cavalier d’Arpino comprendeva tele con i soggetti più vari ed un certo numero di nature morte. Come ci dice Aldo De Rinaldis, esisteva un elenco dei beni sequestrati.

Paola della Pergola, già direttrice della Galleria Borghese, individua al n. 38 dell’elenco la Cacciagione da penna e civetta descritta originariamente come “Un quadro con diversi Uccellami morti senza cornici”. Inoltre rileva nel 1619 un pagamento ad Annibale Duranti per tre cornici, di cui una destinata ad una tela “dove sonno l’uccelli diversi morti”. Federico Zeri individua poi al numero 39 del medesimo elenco il Vaso di fiori, frutta e ortaggi.

Ambedue le tele sono ancora oggi alla Galleria Borghese con l’attribuzione al Maestro di Hartford.

Sempre Federico Zeri individua ai numeri 47 e 96, la tela Vasi di fiori e frutta sul tavolo oggi al Wadsworth Atheneum ed alla quale si deve la definizione di Maestro di Hartford e l’Allegoria della Primavera (oggi alla collezione Micheli). Fu Carlo Saraceni (1579-1620) a completare quest’ultima tela aggiungendovi le due figure femminili.

In realtà a queste prime tele attribuite al Maestro di Hartford se ne sono aggiunte altre. Per approfondire queste attribuzioni consiglio la lettura di Davide Dotti Il mistero irrisolto del Maetro di Hartford. Tra l’altro Dotti ripercorre il dibattito intorno all’attribuzione delle opere in questione che, come dicevo, è andato avanti per quasi un secolo.

Caravaggio e il Maestro di Hartford

Ben lungi dall’infilarmi nella ricerca dell’identità del Maestro di Hartford, vi sono però tre elementi che credo siano incontestabili. Il primo è che Caravaggio conoscesse anche bene queste tele. Ciò non tanto perché potrebbe aver partecipato alla loro realizzazione insieme ad altri collaboratori del Cavalier d’Arpino (come ha sostenuto Maurizio Marini) o perché, secondo Federico Zeri, era lui stesso il Maestro di Hartford ma perché la quadreria del Cesari la conosceva per certo. La conosceva lui come la conosceva il suo maggior mecenate, il cardinal Francesco Maria Bourbon Del Monte che era a sua volta in rapporti con il Cesari.

Ma Caravaggio era uno straordinario pittore di nature morte. Basti pensare al Fanciullo con il cesto di frutta, al Bacchino malato, al vaso di fiori del Ragazzo morso da un ramarro, alla Cesta di frutta della Pinacoteca Ambrosiana, alla caraffa di fiori del Suonatore di liuto dell’Hermitage, alla brocca d’acqua ai piedi della Maddalena Penitente e potremmo continuare.

Dunque, il secondo fatto certo, è che Caravaggio dipingeva nature morte o inseriva elementi di natura morta nelle sue tele e lo faceva creando immagini che rappresentavano un riferimento per i suoi contemporanei. Peraltro, come abbiamo visto, lo faceva anche quando era nella bottega del Cavalier d’Arpino.

Quest’ultimo, si era tenuto in quadreria fino al 1607 due tele famose del Caravaggio, senza venderle, forse perché sapeva che il loro valore poteva solo crescere. Così si era tenuto le tele del Maestro di Hartford la cui datazione è ancora incerta. Probabilemente pensava la stessa cosa circa il loro valore.

Il dialogo

Dunque, direi che il terzo elemento certo è che tra Michelangelo Merisi e le tele del Maestro di Hartford esistesse un dialogo, lo stesso dialogo che leggiamo ancora oggi. Forse artisti a lui vicini le avranno dipinte guardando alle trasparenze d’acqua ed ai fiori del loro più grande collega, forse Caravaggio li avrà consigliati, magari anche ironizzando sulle loro capacità, magari vi avrà posato il suo pennello per fare qualche ritocco.

A noi non resta che ammirare queste tele non solo belle ma assai importanti sul piano della storia dell’arte.

Se volete approfondire le trasparenze del Caravaggio ed il rapporto con le opere del Maestro di Hartford potete leggere Giacomo Berra Luci, riflessi… nella caraffa con fiori del Ragazzo morso da un ramarro del Caravaggio.

maestro hartford carlo saracenti
Maestro di Hartford e Carlo Saraceni -Allegoria della Primavera

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.