L’estate umbra riserva sempre delle piacevoli sorprese. Una di essa è senza dubbio la mostra di Marco Tirelli inaugurata sabato 26 agosto in occasione dell’apertura del Todi Festival 2017 giunto ormai alla trentunesima edizione.
Marco Tirelli al Palazzo Comunale di Todi
Percorso lo scalone ad arco rampante dei Palazzi Comunali di Todi, si entra immediatamente nella monumentale Sala delle Pietre; in questo luogo ricco di storia Marco Tirelli ha realizzato un’esposizione composta da dieci tele di grandi dimensioni. Impossibile rimanere indifferenti alla diretta relazione delle opere con lo spazio architettonico circostante, cosa non scontata di questi tempi.
Una buona complice è la stessa ricerca dell’artista sulla luce e sulle ombre e di come esse agiscano nello spazio. L’effetto è di attesa, di un qualche cosa che debba succedere di lì a poco e, miracolo dell’arte, quel qualcosa avviene.
Dal buio delle ombre emergono forme e volumi che si materializzano davanti agli occhi dell’osservatore. Si chiede l’artista “Se del mondo vediamo solo ciò che la luce restituisce, quanto ha a che fare la pittura con la realtà?” . Non basterebbero tutti i volumi di una grande biblioteca per raccontare la grande avventura del rapporto dell’uomo con la luce e con la realtà, a Marco Tirelli sono bastate dieci tele.
Robin Heidi Kennedy: La Sposa di Plutone
Robin Heidi Kennedy insieme a Marco Tirelli ha firmato il manifesto dell’edizione 2017 del Todi Festival. Anche lei è presente a Todi con un’esposizione personale allestita alla Sala Affrescata del Museo Civico.
Una mostra composta da sedici sculture in bronzo, gesso e resina, che raffigurano vari personaggi mitici. Tra loro Plutone e la bella Persefone. Come sempre avviene nelle vicende umane, luce e mito si fondano in questo percorso espositivo che merita di essere visto.
Il programma delle esposizioni del Todi Festival non si esaurisce certo qui e infatti sono state inaugurate altre due mostre: “Crisomallo” di Gianni Moretti proposto da Carlo Primieri e “Gli Strati Tolti” di Silvia Ranchicchio a cura di Massimo Mattioli.
Pare proprio che il filo conduttore di tutte queste mostre sia il mito e la ricerca della propria essenza, un buon punto di partenza per tornare a meditare sullo stato dell’arte contemporanea in Italia.