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Francesco Mochi: i Santi del Duomo d’Orvieto

Le due imponenti sculture degli apostoli Taddeo e Filippo opera di Francesco Mochi (1580-1654) si impongono immediatamente allo sguardo del visitatore del Duomo di Orvieto.

Poste lungo il colonnato di sinistra della navata centrale, al primo ed al terzo posto entrando, sono parte del più ampio ciclo scultoreo degli apostoli e dei quattro santi protettori.

Gli Apostoli e i Santi Protettori del Duomo d’Orvieto

Le statue dei dodici apostoli e dei quattro santi protettori che nel 2019 sono tornate ad adornare la navata centrale del Duomo d’Orvieto raccontano due secoli della scultura italiana. Infatti, vennero realizzate da una pluralità di scultori tra il 1556 ed il 1722.

Di queste ben tre (Tommaso, Giovanni e Andrea) furono opera di Ippolito Scalza (Orvieto 1532 – 1617), dal 1567 capomastro del Duomo d’Orvieto, e ideatore del progetto originale. Nel 1897, con la finalità di ripristinare l’aspetto originale della chiesa, le statue vennero trasferite nell’adiacente Palazzo Soliano che ospita il Museo dell’Opera del Duomo. Come detto, hanno attualmente ritrovato l’originaria dimora.

Francesco Mochi e il Duomo d’Orvieto

Gli apostoli Filippo e Taddeo non sono le due uniche opere di Francesco Mochi nel Duomo d’Orvieto. Infatti di fronte all’altare maggiore, ai due lati dellafrancesco mochi san taddeo balaustra, trova posto la formidabile Annunciazione. Fu proprio con questo gruppo che, tra il 1603 ed il 1608, lo scultore iniziò la sua collaborazione con la Fabbrica del Duomo.

L’origine del rapporto si deve al suo mecenate Mario Farnese (1548-1619), duca di Latera, che nel 1603 in cui perorò per Mochi la commissione di uno degli Apostoli “assicurando che riuscirebbe stupendamente”.

Le statue di San Taddeo e San Filippo si collocano in realtà agli estremi del percorso artistico di Mochi. San Filippo risale infatti al 1609 mentre Taddeo, commissionato nel 1631, fu consegnato solo nel 1644. Lo scultore aveva a quel punto ultimato la sua opera forse più nota: la Santa Veronica della Basilica di San Pietro.

Francesco Mochi: il San Filippo del Duomo d’Orvieto

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Francesco Mochi – San Filippo

La statua di San Filippo fu commissionata allo scultore dai Sopranstanti dell’Opera nel maggio del 1609. Questi la consegnò nel novembre del 1610. Da menzionare il fatto che Francesco Mochi non fu soddisfatto del compenso che il duomo intendeva pagargli. La vicenda si basava sul prezzo pagato dai Soprastanti per il San Matteo scolpito da Pierre de Francqueville (1548-1516, noto in Italia come Pietro Francavilla) su disegno del Giambologna (ovvero al secolo Jean de Boulogne) di cui era allievo e collaboratore. Le due statue sono una accanto all’altra: infatti il (bellissimo) San Matteo si trova tra le due opere del Mochi.

Comunque, i Soprastanti avevano retribuito il Francavilla con 600 scudi e non intendevano darne neanche uno di più al Mochi. Questi era invece di parere diverso. Alle fine della disputa, nel 1614, la Sacra Rota riconobbe allo scultore di Montevarchi 650 scudi.

Non è dato sapere (ma non lo escluderei) se il fatto che per oltre venti anni il Mochi non lavorò più ad Orvieto sia dovuto a questa disputa. Forse, più semplicemente, il rapporto si interruppe in quanto Mochi si trasferì per circa un ventennio a Piacenza. Comunque, resta come l’opera della coppia Giambologna Francavilla sia assolutamente memorabile e che forse i Soprastanti non avessero tutti i torti.

Dice del San Filippo la storica dell’arte Maria Giovanna Sarti: “Le pieghe profonde che solcano le vesti di questa statua di dimensioni colossali la avvicinano piuttosto che ai precedenti manieristi alla stagione tardogotica fiorentina, in una essenzialità espressiva che denuncia fin da ora una ricerca del Mochi, sviluppata in maniera compiuta in seguito, verso un’introspezione psicologica destinata a tradurre visivamente la spiritualità compressa e tutta interiore dei protagonisti della storia sacra”.

San Taddeo

Se pensate un attimo al Battesimo di Cristo realizzato da Francesco Mochi per San Giovanni dei Fiorentini a Roma (iniziato nel 1644 e terminato in punto di morte..) e guardate il San Taddeo del Duomo d’Orvieto non potrete aver dubbi su chi sia lo scultore.

La figura del santo è straordinaria: ossuta, ritorta, nervosa, colta nell’attimo. Il panneggio memorabile. Il gesto delle mani le cui dita si toccano al di sotto del

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Francesco Mochi – San Taddeo

libro che Taddeo regge sul braccio sinistro tanto inaspettato quanto plastico. La citazione di poco fa “…tradurre visivamente la spiritualità compressa e tutta interiore..”, mi sembra inconfutabile.

Il San Taddeo di Francesco Mochi del Duomo di Orvieto merita l’aggettivo memorabile. Invero, alquanto memorabile ed articolata ne è anche la storia. La riprenderei così com’è dalla scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali:

“L’apostolo Giuda Taddeo viene solitamente raffigurato come un uomo maturo barbuto i cui attributi sono il libro o un rotolo, a ricordo della sua missione apostolica in Asia Minore e uno strumento di martirio, clava, scure, ascia, spada e albarda, a seconda delle versioni della leggenda. La statua del duomo di Orvieto è opera di Francesco Mochi: gli era stata commissionata nel 1631, quando i Soprastanti della fabbrica “concesserunt ill.ri D.Francisco Moco de Montevarco (….) opus faciendi et perficiendi unam statuam ex tribus apostolis deficientibus in Ecclesia prefata, scilicet SS. Simoni, Taddei et Matthiae.

La scultura fu terminata solo nel 1644 quando l’artista ebbe concluso la Veronica per S. Pietro e in seguito a numerosi solleciti degli orvietani… La statua, realizzata a Roma, giunse a Orvieto il 10 agosto 1644 trasportata da un carro trainato da “nove paia di bufali”, che si ribaltò due volte provocando la rottura del libro che l’apostolo tiene in mano. Infatti sulla parte sinistra del libro è visibile una fenditura”.

Sempre sul Duomo di Orvieto, potete leggere: La Madonna di Gentile da Fabriano

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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