basilica san paolo arco galla placidiaArco di Galla Placidia
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Basilica di San Paolo: i mosaici dell’Arco di Galla Placidia

Il mosaico dell’Arco di Galla Placidia domina la maestosa navata centrale della Basilica di San Paolo fuori le mura. Al di là di esso, in fondo al transetto, l’altro grande mosaico della basilica: il Cristo in Trono voluto da papa Onorio III (1150-1227). Otto secoli di storia dividono le due opere.

Due mondi cristiani – quello antico e quello di un medioevo che ha superato i secoli più difficili – a stretto confronto. Un confronto affascinante. Da un lato un’arte cristiana delle origini che ha perso la forza di quella pagana. Dall’altro un’arte che già guarda all’uomo moderno e sente che tutto dovrà cambiare. 

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Basilica di San Paolo – Navata Centrale

Arco di Galla Placidia: la storia

Andiamo per ordine, però. Partiamo dalla sfortunata storia dei mosaici dell’Arco di Galla Placidia. Chiariamo subito che quelli che stiamo guardando hanno in larghissima misura meno di due secoli. Sono infatti la ricostruzione di quanto rimaneva dell’Arco di Galla Placidia (già assai danneggiato e rimaneggiato) prima dell’incendio che il 15 luglio 1823 causò danni gravissimi a San Paolo flm.

Galla Placidia (388-450), figlia dell’imperatore Teodosio I, moglie e madre di un imperatore (Valentiniano), del quale ebbe a lungo la reggenza, fu una delle personalità più influenti della prima metà del V secolo.

Religiosissima, finanziò la realizzazione dei mosaici dell’arco che tradizionalmente porta il suo nome. Questo fu realizzato durante il pontificato di San Leone Magno (440-461 d.C.). Dunque, interpolando le date di morte di Galla Placidia e papa Leone, tra il 440 ed il 450 d.C..

Nel corso dei secoli il mosaico subì danni importanti. Un acquarello ed un’incisione del XVII secolo ci mostrano infatti ampie lacune soprattutto sul lato sinistro tanto che il mosaico venne ampiamente restaurato sotto Clemente XII Corsini (papa dal 1730 al 1740). In realtà, però, altri interventi erano stati effetuati nei secoli precedenti.

Dunque possiamo affermare due elementi per certo. Il primo è che il mosaico che vediamo oggi è la riproduzione in buona misura fedele dell’originale anche se con la modifica di alcuni particolari. Il secondo è che nella versione attuale vi sono ancora alcuni brani originali ma assai pochi.

Per la precisione, anche secondo recenti analisi, sarebbero originali almeno i volti di almeno dodici dei ventiquattro Seniores (quattro a destra e otto a sinistra) nonché il volto dell’angelo alla destra del Cristo.

Il mosaico dell’Arco di Galla Placidia: l’opera

Il mosaico narra una visione dal libro dell’Apocalisse. Quella dei quattro esseri viventi (il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola) e i ventiquattro vegliardi che si prostrano di fronte all’Agnello.

In realtà non è necessario descrivere granché poiché il mosaico rappresenta fedelmente la scena detta. Da aggiungere il fatto che originariamente la figura del Cristo doveva essere a mezzo busto e non in un clipeo e che i due angeli dovevano essere inginocchiati.

Inoltre, fanno parte del mosaico le due figure di San Paolo e San Pietro e quattro iscrizioni, ovvero:

  • Al di sopra dei simboli degli Evangelisti: “Teodosio iniziò l’aula consacrata alle spoglie di Paolo, dottore del mondo, Onorio la completò”
  • Lungo la circonferenza dell’arco: “L’animo pio di Placidia gode che per la cura di papa Leone risplenda l’opera di suo padre”
  • Al di sopra di San Paolo: “Mentre Paolo perseguita gli eletti di dio, diviene vaso di elezione e prova alle genti di essere stato appositamente a ciò scelto”
  • Al di sopra di San Pietro: “O Pietro che tu divenga con la voce di Dio pietra del Signore, il culmine dell’onore ed ogni gloria e splendore della corte celeste”.
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Mosaici dell’Arco di Galla Placidia

Il restauro del XIX secolo

Il mosaico che vediamo oggi è frutto della riedificazione avventa dopo l’incendio del 1823. Quest’ultimo causò il crollo del tetto della basilica ma non dell’arco sebbene pesantemente danneggiato. Quattro anni dopo, nel 1827, si giunse alla decisione di abbattere l’arco per riedificarlo staccando però tutto ciò che si era salvato del mosaico.

Questo compito venne affidato a Giacomo Raffaelli (1753-1836) discendente da una famiglia di mosaicisti molto nota non solo a Roma. Raffaelli si mise all’opera nell’aprile del 1827 e terminò lo stacco nel luglio del 1828. In tutto vennero recuperati circa 127 mq di mosaico. Da questo momento inizia per quanto resta del mosaico dei Galla Placidia un’odissea che ricorda quella del Mosaico della Navicella di Giotto in San Pietro.

Infatti, solo tra il 1851 ed il 1852 il mosaico venne ripristinato. Non mi viene in mente termine migliore. Non sappiamo infatti esattamente se tutte le parti staccate da Giacomo Raffaelli siano tornate in situ. Viceversa sappiamo, ma raccontarlo richiederebbe un romanzo, dei difficili rapporti che per vent’anni intercorsero tra i Raffaelli e il Vaticano intorno al mosaico di Galla Placidia. Di come il figlio di Giacomo, Vincenzo, fu costretto a spostare pezzi del mosaico da un luogo all’altro della basilica. Di come per evitare che i topi mangiassero i fogli di carta incollati sui mosaici che ne indicavano il punto preciso di collocazione, questi venivano imbevuti di un amarissimo estratto d’aloe.

Conclusione….

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Credo che l’osservazione cardine da trarre dall’analisi dei mosaici dell’Arco di Galla Placidia sia, con le parole di Giulia Bordi: “…(papa) Leone assume così un ruolo centrale nella decorazione dell’arco, e nei cantieri da lui avviati, dove attuò ‘un mutamento di rotta, e a livello di strutture profonde’ rispetto agli orientamenti figurativi precedenti (Andaloro 1972, 574); con la selezione di nuovi temi iconografici di contenuto trascendente, quali la visone ‘ultraterrena’ deiventiquattro Seniores, si innescò un allontanamento brusco dalla tradizione precedente – dalla classicità ancora presente nei mosaici sistini di Santa Maria Maggiore – e l’invenzione di un nuovo linguaggio formale, che porterà al ‘distacco dal realismo’ e alla nascita della ‘vocazione all’astrazione’ (Guglielmo Matthiae 1967, 127; Andaloro 1987, 232)”.

Si tratta di un concetto apparentemente complesso ma che diventa cristallino quando si confrontino i mosaici di papa Leone Magno e Galla Placidia con quelli della Basilica di Santa Pudenziana databili a circa trent’anni prima, tra il 410 e il 417 d.C..

L’arte è questione soggettiva piuttosto che oggettiva. Dunque ognuno è libero di dare un valore positivo o negativo alla svolta avviata da papa Leone Magno.

Come dicevamo all’inizio, a qualche decina di metri, nella calotta del abside di San Paolo flm c’è il mosaico del Cristo in Trono voluto da Onorio III. Questi lo affidò a maestranze veneziane perché le riteneva più adatte a… tornare indietro. Proprio a riprendere i concetti della classicità ed a rimettere l’uomo al centro della scena.

Qualche decennio dopo a Roma Pietro Cavallini ed i suoi colleghi della scuola duecentesca romana porteranno a compimento questo emozionante ritorno alle origini.

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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