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Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta a Palazzo Barberini

La mostra Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta a Palazzo Barberini è senz’altro da vedere. Anche qualora, a differenza di me, non consideriate Caravaggio il più grande pennello di tutti i tempi.

Scherzi a parte, la curatrice Maria Cristina Terzaghi ha realizzato un percorso espositivo di esemplare nitore scientifico ed altrettanta bellezza.

A fare da padroni di casa, giustamente, Michelangelo Merisi (1571-1610) e Artemisia Gentileschi (1593-1653) figlia di quell’Orazio (1563-1639) che del Caravaggio fu collega e amico. Talentuoso pittore tardo manierista Orazio, superba protagonista della pittura del suo secolo Artemisia.

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Tintoretto – Giuditta e Oloferne

Non so dire se definire Artemisia la più grande dei caravaggeschi potrebbe far arricciare il naso a quotati storici dell’arte e tanto meno che cosa avrebbe risposto Artemisia a chi l’avesse in vita indicata come tale.

Caravaggio e Artemisia in mostra a Palazzo Barberini

Resta il fatto che dopo aver percorso cinque sale inondate di scene di Giuditta ed Oloferne ed altre decapitazione una sola cosa è certa: le due tele che spiccano su tutte sono quelle dei due padroni di casa. Incomparabili con altre opere anche di grandissimo pregio.

Ma andiamo per ordine. Cinque le sale e quattro le sezioni. La prima Giuditta al bivio tra Maniera e Natura, raccoglie tele cinquecentesche che consentono al visitatore di valutare come l’argomento venisse affrontato a.C. (ante Caravaggio, ovviamente).

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Caravaggio – Giuditta e Oloferne

Giuditta al bivio tra Maniera e Natura

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Pierfrancesco Foschi – Giuditta e Oloferne

In questa prima sala, che raccoglie modelli che tanto Artemisia che suo padre Orazio avevano ben presenti, non perdete l’olio su tavola di Pierfrancesco Foschi (Firenze 1502-1567). Il suo Oloferne deve tutto a Michelangelo. La sua Giuditta ha l’eleganza spirituale delle  donne a cavallo tra ‘400 e ‘500. Se potessi scegliere un’opera per la mia collezione (oltre alle tele dei padroni di casa…) mi farei regalare questa.

Nella stessa sala una suntuosa Giuditta e Oloferne del Tintoretto. Inutile dire che si tratta di un’opera eccelsa pur nella sua ufficialità. Grazie al Prado per averla prestata a Roma.

Infine non perderei di vista la tela di Lavinia Fontana (1552-1614) Giuditta consegna la testa di Oloferne alla fantesca. Merita di essere considerata sia per le sue qualità che per la mano femminile che la dipinse: non frequente in quei tempi.

La sala di Caravaggio

La seconda sala dal titolo Caravaggio e i suoi primi interpreti ospita la Giuditta e Oloferne di Caravaggio. Non vi trattengo: su ArtePiù trovate un articolo dedicato, cliccate Giuditta e Oloferne: la forza del Caravaggio

Dico solo che in questa sede l’illuminazione è perfetta e ve la potete gustare centimetro per centimetro ad un palmo dalla tela. Un privilegio di cui solo i grandi mecenati di Caravaggio potevano godere.

La sala poi è un festival di caravaggeschi. Tutte tele museali, ma il maestro è altra cosa. Trophine Bigot, Giuseppe Vermiglio, un Finson (non irresistibile) tra gli altri.

Per approfondire la mostra, cliccate per l’intervista alla sua curatrice Maria Cristina Terzaghi

Giuditta e Oloferne tra grida e sangue

A mio parere, sono due i passaggi pittorici più complessi in questa vicenda: la bocca di Oloferne ed il gemito (o il grido?) che essa emette ed il fiotto di sangue.

Caravaggio è Caravaggio. Gli altri inseguono distanziati. Artemisia è proprio lì con una soluzione non distante dal maestro che però resta un passo più avanti. Guardate attentamente le bocche di Oloferne mano a mano che percorrete le sale e vedrete come io abbia le mie ragioni…

Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta

Artemisia Gentileschi Giuditta Oloferne Capodimonte
Artemisia Gentileschi – Giuditta e Oloferne Capodimonte

La terza sala si intitola appunto Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta. Qui trovate la Giuditta di Artemisia (dipinta nel 1612) gentilmente prestata dal Museo di Capodimonte (andateci subito dopo aver visitato Palazzo Barberini e godetevi Caravaggio a Napoli: un tour della città cercando il maestro) e le due tele di pari argomenti di Orazio.

Orazio Gentileschi è perfetto. Così come un vero manierista è tenuto ad essere. Perfetto, non c’è che dire ma ormai lontano dal nostro sentire moderno.

Artemisia è emozione e vibrazione. L’intreccio di braccia di Giuditta, della sua ancella e di Oloferne è fantastico: sarebbe stato l’invidia anche di Caravaggio.

La testa di Oloferne, la sua bocca, il sangue sono quasi ai livelli del Merisi (che li aveva però dipinti ben prima, diciamolo). Misurata la soluzione che adotta per ritrarre la bocca di Oloferne. In realtà dove Caravaggio va oltre è nella scelta della luce che illumina il viso del generale e lo porta in primo. Artemisia si perde poi un pò nel dipingere la porzione della spada che esce dal collo di Oloferne.

Per dirla così, Caravaggio riesce nell’impresa di realizzare tre personaggi tutti e tre in primo piano. La tela di Artemisia punta la sua forza sui volti delle due donne con Oloferne che non prorompe dall’oscurità.

Le virtù di Giuditta

L’ultima sezione è dedicata alla decapitazione. Infatti si intitola Le virtù di Giuditta. Giuditta e Davide, Giuditta e Salomè. Se non foste ancora sazi di teste

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Cristofano Allori – Giuditta e Oloferne

mozzate (invero fin qui è sempre quella di Oloferne), la sala indaga argomenti che in comune con Giuditta e Oloferne hanno proprio la decollazione.

Davide e Golia, Salomè e il Battista sono gli altri due temi biblici qui trattati. Rappresentazioni simili dal punto di vista artistico tanto che può capitare a tutti (o perlomeno a me) di fronte ad una testa mozzata di dover leggere il titolo dell’opera per esser certi se la figura femminile sia quella della efferata Salomé o dell’eroina Giuditta.

Personalmente, trovo irresistibile la tela di Cristofano Allori (Firenze 1577 – 1621) Giuditta con la testa di Oloferne (1610-1612 circa) – coeva alla prima delle due tele di Artemisia ed oggi a Palazzo Pitti.

Formidabile la qualità della testa di Oloferne. Allori avrebbe utilizzato come modelli sé stesso, l’amante Mezzafirra e la madre della donna nelle sembianze rispettivamente di Oloferne, Giuditta e Abra.

Artemisia Gentileschi: Giuditta e Oloferne degli Uffizi

La tela di Artemisia Gentileschi Giuditta e Oloferne esposta in mostra e dipinta nel 1612 è oggi custodite nel Museo di Capodimonte a Napoli. Non fu però l’unico dipinto su questo tema realizzato dalla pittrice.

Artemisia Gentileschi Giuditta Oloferne Uffizi
Artemisia Gentileschi -Giuditta e Oloferne Uffizi

Infatti Artemisia dipinse durante gli anni passati a Firenze (1612-1620) un altra tela di identico soggetto. Questa volta sono le Gallerie degli Uffizi a conservarla.

Le due tele sono innanzitutto diverse per dimensioni e per taglio. Quella di Capodimonte misura 158,8×125,5 mentre quella degli Uffizi 199×162 ed il taglio di quest’ultima regala una scena più ampia. La felice intuizione dell’intreccio di braccia rimane la medesima ma il corpo di Oloferne è ritratto completamente e dunque Artemisia può dar ancora più prova della sua maestria giocando con il rosso cupo del mantello ed il bianco delle lenzuola che avvolgono il corpo del generale assiro.

Diverse anche le scelte cromatiche: la veste ocra dell’ancella Abra da infatti una luce alla scena assai diversa rispetto all’azzurro scelto nella versione di Capodimonte.

Se avete piacere di scoprire qualcosa di più sulla pittura di Artemisia Gentileschi, vi consiglio questa videointervista con Francesca Baldassarri girata in occasione della mostra Artemisia Gentileschi e il suo tempo a Palazzo Braschi:

 

Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta

Palazzo Barberini – Via della Quattro Fontane 13, Roma

fino al 27 Marzo 2022

www.barberinicorsini.org

Orario: Martedì – Domenica, 10-18

 

 

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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