Roma custodisce e, alle volte, nasconde capolavori unici: è il caso del Giudizio Universale di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Cecilia in Trastevere.
In realtà, la scelerata idea di costruire nel XVI secolo un coro per le monache produsse danni e mutilazioni all’affresco del quale oggi vediamo solo una porzione. Anzi, per dirla tutta, venne coperto da una volta lignea e riscoperto solo nel XX secolo.
Viceversa, quando Pietro Cavallini lo dipinse (si ipotizza) nel 1293 – mentre Arnolfo di Cambio realizzava lo splendido ciborio della chiesa sottostante – il grandioso affresco occupava la controfacciata facendo da controcanto al mosaico dell’abside.
In verità, mentre il mosaico, anche a paragone di altre opere musive della Città Eterna, non è assolutamente eccezionale, il Giudizio Universale di Pietro Cavallini è una pietra miliare, un passaggio epocale, della pittura italiana che – superata Bisanzio – trainava la rinascita dell’arte occidentale.
Il Giudizio Universale di Pietro Cavallini: l’opera
Il destino ha voluto che, comunque, dell’affresco giungesse fino a noi la parte più significativa, ovvero Gesù tra gli Apostoli. Cavallini costruisce infatti l’opera in adesione alle Scritture: “II Figlio dell’Uomo seduto sul trono della sua gloria e dodici suoi apostoli, seduti con lui a giudicare le dodici tribù del suo popolo” (Vangelo di Matteo 19,28).
Infatti, come potete leggere nella descrizione dell’affresco sul sito delle monache benedettine di Santa Cecilia, che qui vi ripropongo perché perfetta:
“Al centro appare la figura di Cristo giudice seduto su un prezioso trono tempestato di gemme. Al di sotto vi è l’altare, alla maniera bizantina, con gli strumenti della passione: la spugna, il vasetto del fiele, i chiodi, la lancia che aprì il costato di Gesù in croce. La mandorla ovale in cui è raffigurato il Cristo è contornata da otto serafini. A sinistra, per chi guarda ma alla destra di Cristo, in piedi, si trova la Vergine in preghiera e rivolta all’Eterno; accanto a lei: Paolo Apostolo, Taddeo, Giacomo Maggiore, Matteo, Bartolomeo e Filippo. A destra per chi guarda ma alla sinistra di Cristo, ci sono, in piedi: S. Giovanni Battista, e gli apostoli Pietro, Giovanni, Tommaso, Giacomo minore, Andrea e Simone.
Nella fascia inferiore, alla destra del Redentore, sono raffigurati i beati accolti dagli angeli, divisi in tre gruppi, tra cui i più vicini a Cristo sono i santi diaconi Lorenzo e Stefano primo martire. Dietro ad essi è raffigurata una santa coronata e accolta da un angelo, probabilmente Santa Cecilia.
A sinistra di Cristo sono affrescate le anime dei dannati, divise anche queste in tre gruppi, con gli angeli intenti a respingerle. Il primo angelo spinge i dannati con le mani, il secondo con la lancia e il terzo con l’arma infilza il corpo del diavolo”.
L’innovazione di Pietro Cavallini
Sull’innovazione che Cavallini e Giotto portano nell’arte del XIII secolo sono stati scritti innumerevoli libri. Credo che, in estrema sintesi, si possa dire che quello che affascina di questo Giudizio Universale è che Pietro Cavallini, soprattutto nelle figure degli Apostoli, inventa il volume: il volume della carne.
Non è solo il passaggio dalla frontalità dei volti alla loro angolazione, non è solo la ricerca dell’espressione dei sentimenti (ancora agli inizi) ma è il volume a fare la differenza. Qui non siamo di fronte a figure iconiche ma a uomini di carne, a quei “pescatori di uomini” che seguirono Gesù nella sua vita terrena.
Per comprendere, per toccare con mano completamente, la differenza provate a guardare la famosa Madonna Advocata oggi custodita a Palazzo Barberini e che vi da il senso preciso di cosa si dipingesse a Roma un secolo prima.
Oppure, confrontate gli Apostoli di Cavallini con quelli del Giudizio Finale di Nicolò e Giovanni dei Musei Vaticani. Il tema è analogo e questo rende il confronto ancor più cogente. Mentre nel Giudizio Finale gli Apostoli sembrano uscire da un mosaico bizantino rispettoso degli antichi precetti, quelli del Cavallini si sono ormai affrancati da quei modelli.
Se vogliamo continuare nel parallelo con il mosaico, allora l’affresco del Cavallini ha la “modernità” (considerate il temine applicato all’arte musiva del XII secolo) dei mosaici della Cappella Palatina di Palermo. Del resto, natura non facit saltus e la rivoluzione artistica del XIII secolo trova le sue basi nelle elaborazioni che la precedettero.
Al di là di ogni considerazione, un momento di puro piacere estetico è generato dalle ali dei serafini. Nei secoli che seguiranno, le ali degli angeli rappresenteranno spesso gioielli preziosi all’interno di composizioni più ampie ma queste del Cavallini su un grande viatico a quanto seguirà.
La visita del Giudizio Universale
Tornando al pensiero iniziale della Città Eterna che nasconde i suoi capolavori, non dimenticate che gli affreschi sono celati dal coro delle monache. Dunque, per vederli, dovete bussare alla porta del convento delle benedettine (a sinistra della chiesa guardando quest’ultima) e, dietro una modesta offerta, salire le scale fino al coro.
Qui, senza l’ombra di un pannello che illustri l’opera, con un’illuminazione assolutamente precaria, sta l’affresco. Di fronte ad esso, tanto per facilitarne la visione, sono piazzati i seggi lignei delle monache. Che dire. Viceversa, se sceglierete un giorno feriale, sarete soli: un privilegio da papa o da re.
Nella chiesa le indicazioni su dove possa trovarsi il Giudizio Universale e su come arrivarci sono a dir poco precarie… Così i turisti che decidano di spingersi fino a Santa Cecilia, in buona misura, ammirano un mosaico non eccelso e si perdono un affresco che ha contribuito a cambiare l’arte della nostra civiltà… A voi, però, questo non capiterà…
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