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Pietro Cavallini: i mosaici di Santa Maria in Trastevere

Probabilmente, in termini di dimensione, la chiesa di Santa Maria in Trastevere ha mosaici che le permettono di primeggiare nella Città Eterna. Ma anche la loro qualità è elevatissima o eccelsa, come nel caso delle Storie della Vergine di Pietro Cavallini (1240-1330 circa).

Si tratta di sei scene, posizionate in altrettanti riquadri che rappresentano gli episodi della vita di Maria: la nascita della Vergine, l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la presentazione al Tempio, la morte di Maria. Ad esse ne ha aggiunta una settima, posta in un registro più basso: è la dedicazione dell’opera in cui si vede il suo committente, il cardinale Bartolomeo Stefaneschi, presentato da San Pietro e San Polo, offrire i mosaici alla Vergine.

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I mosaici del Cavallini a Santa Maria in Trastevere: andare al di là dell’opera

Al di là del valore estetico dell’opera (altissimo) questo ciclo cavalliniano ha un’importanza per la storia dell’arte che va al di là della loro bellezza. E’ l’alba di un mondo che sta rapidamente cambiando. E questi mosaici ci pongono domande alla quali è fondamentale trovare una risposta.

Cosa aveva Pietro Cavallini negli occhi e nella mente mentre disegnava le scene che avrebbe poi trasformato in mosaico? Quali ispirazioni poteva offrirgli una Roma la cui grandezza artistica era stata messa a dura prova da secoli di spoliazioni?

Rispondere a questa domanda significa anche provare a comprendere come l’arte antica si sia innestata, sia rivissuta, nell’arte degli ultimi secoli di quel Medioevo che sboccerà nel Rinascimento. Ovviamente siamo costretti ad azzardare un po’ nelle ipotesi, ma certamente Pietro Cavallini aveva visto il mosaico dell’abside di Santa Pudenziana realizzato all’inizio del V secolo e assolutamente romano. Oppure le storie dell’Antico Testamento rappresentate in mosaico a Santa Maria Maggiore, sempre all’inizio del V secolo.

Qui, negli stessi anni in cui Cavallini lavorava in Trastevere tra Santa Maria e Santa Cecilia (con il Giudizio Universale), Jacopo Torriti realizzava sempre in mosaico le sue Storie della Vergine. Chi può dire se e in che termini i due maestri si siano confrontati e quali ragionamenti abbiano messo a fattor comune comune.

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Pietro Cavallini tra Roma e Bisanzio

Dunque esistevano esempi di un luminoso passato a cui ispirarsi e, probabilmente, ne esistevano molti altri ancora oltre a quelli che possiamo ipotizzare.

Poi esistevano i gusti dell’epoca e le preferenze del committente, il cardinale Bertoldo Stefaneschi, ed anche il retaggio culturale con il quale il Cavallini era cresciuto.

Nasce così una serie di mosaici, una serie di quadri, quasi di affreschi, che rappresenta a buon titolo una testimonianza centrale del cambiamento culturale di quegli anni.

Pietro Cavallini si ritrova a Santa Maria in Trastevere sopra la testa il mosaico dell’abside: un vero trionfo di oro, di pietre preziose di abiti sfarzosi e di colori. Un mosaico bizantino ormai però asservito alla rappresentazione della ricchezza e del lusso.

Così le sue sei scene sono bizantine anch’essi nei fondali d’oro che le contraddistinguono così come nelle eleganti cornici che le racchiudono. E sono bizantini i ricchi tendaggi della Nascita della Vergine ed i volti di Maria, sempre un po’ iconici.

Ma qui ci fermiamo. Perché poi c’è il mosaico che torna a raccontare scene di vita come aveva fatto per secoli nella Roma antica. E Pietro Cavallini dipinge. Dipinge usando le tessere del mosaico come fossero pennellate. Gioca sulle sfumature di colore di minutissime tesserine per generare chiaroscuri che dipingono senza necessità di usare i contorni neri dei visi altomedievali.

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La prospettiva torna nel mosaico

Poi c’è la prospettiva, la tridimensionalità che gli artisti romani conoscevano assai bene, sia che si trattasse di affreschi che di mosaici. Pietro Cavallini si addentra in questo mondo senza paura costruendo anche architetture particolarmente articolate come nell’Annunciazione.

Sono, dunque, mosaici che non hanno nulla da invidiare a quelli che ci hanno restituito Pompei ed Ercolano e che oggi potete ammirare nel Museo Archeologico di Napoli.

Sono mosaici ricchi di particolari. Particolari che faranno scuola. La città turrita nell’Adorazione dei Magi; le rocce su cui è posto l’angelo dell’Annunciazione; gli animali nella Natività; la domestica che con la mano prova la temperatura dell’acqua per il bagno della neonata Maria. Sono particolari che ritroveremo negli anni che verranno.

Infine, ci sono le ali dei suoi angeli. Non serve scriverne, occorre vederle.

Un paio d’anni dopo, a poche centinaia di metri di distanza, nella chiesa di Santa Cecilia Pietro Cavallini dipingerà un Giudizio Universale che rappresenterà un’altra pietra miliare nell’evoluzione dell’arte basso medievale.

Della felicissima stagione trasteverina del Cavallini, guardando i mosaici di Santa Maria, disse Lorenzo Ghiberti: “Ardirei dire in muro non avere veduto di quella materia lavorare mai meglio”. Come non essere d’accordo.

Scarica il saggio: Adriano Prandi – Pietro Cavallini a Santa Maria in Trastevere 

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.