Pietro Cavallini (1240-1330 circa), maggior esponente della Scuola Romana a cavallo tra ‘200 e ‘300, lavorò a lungo a Napoli al tempo degli angioini (tra il 1308 e il 1317). La Cappella Brancaccio, nella Chiesa di San Domenico Maggiore è, con gli affreschi della chiesa di Donnaregina, la sola testimonianza rimasta di quegli anni fecondi.
Fecondi perché la pittura italiana stava trovando una sua strada che si dipartiva da quella dettata dalla tradizione bizantina: quella che il Vasari chiamava la maniera greca.
Allontanandosi dalla maniera greca
Si trattava di una tradizione forte, fatta di presenza attiva sulla scena artistica italiana. Racconta infatti Giorgio Vasari nella biografia di Cimabue come, probabilmente intorno al 1255, essendo chiamati in Firenze da chi allora governava la città alcuni pittori di Grecia, non per altro che per rimettere in Firenze la pittura piuttosto perduta che smarrita il padre di Cimabue accondiscese all’inclinazione del figlio per il disegno e gli consentì di andar a imparare da costoro ma, narra ancora il Vasari, che di continuo esercitandosi, lo aiutò in poco tempo talmente la natura, che passò di gran lunga, sì nel disegno come nel colorire, la maniera dei maestri che gl’insegnavano: e perché sebbene imitò que’ greci, aggiunse molta perfezione all’arte, levandole gran parte della maniera loro goffa…
Cimabue (1240-1302) era coetaneo di Pietro Cavallini il quale, però, avendo avuto vita lunghissima, poté pienamente attraversare anche gli anni caratterizzati dall’affermarsi di Giotto (1267-1337).
Ben mi guarderò dall’infilarmi nella querelle delle influenze tra questi grandi maestri la quale, peraltro, è resa particolarmente ispida dallo scarseggiare di date certe e attribuzioni altrettanto sicure.
E’ noto, comunque, come tutti e tre viaggiassero e lavorassero in giro per la Penisola ed è dunque del tutto logico che esistesse una condivisione di quella nuova estetica che si dipartiva dalla maniera greca. Tra l’altro, Cimabue è attestato a Roma nel 1272. Poi, vi è il famoso cantiere della Basilica di Assisi dove tutti e tre hanno operato.
Pietro Cavallini Napoli e la committenza Angiò
Pietro Cavallini (o Pietro de’ Cerroni), pictor romanus, lascia proprio nella Città Eterna la maggior parte delle sue opere sopravvissute fino ai nostri giorni. Nel 1308 si reca però a Napoli, chiamato da Carlo II d’Angiò e qui, l’anno dopo, nella chiesa di San Domenico Maggiore (che si andava completando proprio in quegli anni), affresca la cappella voluta dal cardinale Landolfo Brancaccio. E’ proprio un documento della corte angioina a darci la certezza degli eventi. Infatti, Carlo II decreta il pagamento di una pensione annua a Magister Petrus Cavallinus de Roma Pictor.
Sempre tenendoci lontani dalla querelle di cui sopra, è evidente come Bisanzio sia ben distante dalla Cappella Brancaccio. Qui, con una determinata ricerca delle emozioni umane e della prospettiva, Pietro Cavallini racconti gli animi ancor prima che gli eventi.
Cappella Brancaccio a San Domenico Maggiore
Gli affreschi adornano completamente la cappella posta quasi all’inizio della navata di destra della chiesa.
La parete di sinistra è dedicata a San Giovanni e, dall’alto a scendere, troviamo San Giovanni Evangelista immerso nell’olio bollente a Porta Latina a Roma; l’Assunzione in cielo di San Giovanni e la (bella) Crocifissione che da sola merita il viaggio a Napoli per essere vista dal vivo.
La parete centrale è invece dedicata a Sant’Andrea. Essa accoglie in alto Due Profeti; la Vocazione di Sant’Andrea e San Pietro; Sant’Andrea di fronte al prefetto Aegeas. Al di sotto, sono collocati la Crocifissione di Sant’Andrea e il prefetto Aegeas strangolato dal demonio (una scena alquanto rara se non unica, quest’ultima); un miracolo postumo di Sant’Andrea che si presenta dopo la morte nelle sembianze di pellegrino presso l’abitazione di un vescovo per avvertirlo che la donna da lui invitata alla mensa è in realtà il demonio.
La parete di sinistra è invece dedicata alla Maddalena, alla quale era devoto Carlo II ed a questa devozione volle forse rendere omaggio Landolfo Brancaccio.
Nella lunetta in alto è rappresentata la Maddalena che, penitente nel deserto, riceve la comunione da un angelo. Al di sotto la bella rappresentazione del Noli me tangere.
Se siete interessati all’opera di Pietro Cavallini nel seguente articolo troverete una breve biografia e i link agli articoli relativi alle sue maggiori opere: Pietro Cavallini de Roma Pictor: Vita e Opere
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