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Santa Maria Liberatrice a Testaccio: mosaici tra antico e moderno

La Chiesa di Santa Maria Liberatrice nell’omonima piazza di Testaccio a Roma e i grandi mosaici della facciata hanno una storia solo apparentemente moderna.

Santa Maria Liberatrice: le origini antiche

Infatti, la chiesa, per i canoni della Città Eterna, non può che essere definita moderna essendo stata consacrata il 28 Novembre 1908. Del resto, il quartiere di Testaccio, edificato a cavallo tra ‘800 e ‘900, necessitava di una chiesa parrocchiale per accogliere i fedeli e bisognava provvedervi.

Papa Leone XIII (1810-1903) si era già interessato a tal fine ma senza esiti conclusivi. Maggior fortuna arrise al suo successore Pio X (1835-1914). Quest’ultimo affidò l’impresa ai Padri Salesiani ma era comunque necessario finanziare la costruzione. Qui entrano in scena le monache del Monastero delle Oblate di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi.

Infatti lo Stato Italiano aveva loro erogato un rimborso quale indennizzo della demolizione della chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano di loro proprietà fin dal 1548. Chiesa peraltro restaurata nel 1617 dall’architetto Onorio Longhi, amico intimo di Caravaggio.

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La riscoperta di Santa Maria Antiqua

Dobbiamo però adesso tornare ancora più indietro nel tempo. Esattamente nella seconda metà del VI secolo quando sorge nel Foro Romano la chiesa detta di Santa Maria Antiqua. Nell’847, però, un terremoto seppellisce Santa Maria Antiqua nascondendola agli occhi del mondo.

I suoi resti erano così ben nascosti che nel ‘200, al di sopra del luogo ove sorgeva l’antico edificio sacro viene costruita la chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano, poi detta Sancta Maria libera nos a poenis inferni.

Nei primissimi anni del XX secolo, cioè proprio quando si andava avviando il progetto di una chiesa per il quartiere di Testaccio, Santa Maria Liberatrice al Foro Romano venne abbattuta per poter riportare alla luce Santa Maria Antiqua.

Le Oblate di Santa Francesca Romana a Tor de’ Specchi, proprietarie dell’antica Santa Maria Liberatrice, vennero così indennizzate dallo Stato Italiano. Quei fondi andarono a finanziare il nuovo edificio sacro a Testaccio che prende il nome dell’antica chiesa demolita anche per compensare moralmente il sacrificio delle monache.

Succede però qualcosa di più. La meraviglia per i tesori artistici scoperti in Santa Maria Antiqua convince evidentemente coloro che progettano il nuovo edificio ad ornarne la facciata con due grandi mosaici che riprendono due affreschi di Santa Maria Antiqua. Lo vedremo però meglio tra poco.

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L’icona mariana di Santa Maria Liberatrice

In realtà le monache fecero anche dono alla nuova chiesa di un’icona particolarmente venerata. Si trattava (e si tratta) dell’icona detta di Santa Maria Liberatrice oggi custodita sopra l’altare maggiore della chiesa di Testaccio. Essa dava il nome tanto alla chiesa antica quanto, ora, lo da a quella moderna.

Le origini dell’icona risalirebbero, nella leggenda, addirittura a Papa Silvestro (285-335). Lo riporta in un suo scritto dedicato a Santa Maria Ausiliatrice Tommaso Caliò, professore associato di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università di Roma Tor Vergata.

Scrive l’autore: “Il predicatore gesuita Concezio Carocci la inserisce nella sua raccolta delle principali immagini mariane di Roma e ne tramanda la leggenda di fondazione: l’origine dell’icona si legherebbe al racconto di un miracolo di papa Silvestro il quale, con l’aiuto della Vergine, avrebbe reso innocuo un drago che abitava ‘in una gran voragine di fuoco, detta già il Lago di Curzio’ (Carocci, p. 414) e che ogni giorno causava strage nella popolazione di Roma.

Sulla grotta, diventata la tomba del drago, Silvestro avrebbe fatto erigere un tempio mariano: “E chiamolla Santa Maria libera nos a poenis Inferni […] perché in quell’orrore, a quei fischi, a quel furno, a quel fuoco, a quelle furie rassembrogli quella Vorragine un Inferno, per un solo Dragone” (ivi, p. 428). Il culto della Vergine “liberatrice” ancora nei giorni precedenti la demolizione della chiesa, era al centro di pratiche devote per la salvezza delle anime del purgatorio”.

Per leggere per intero lo scritto del Prof. Tommaso Caliò, cliccate QUI

I mosaici della facciata di Santa Maria Liberatrice

Come abbiamo detto, i mosaici della facciata di Santa Maria Liberatrice riprendono due affreschi di Santa Maria Antiqua. Questi ultimi si trovano nella cappella dedicata ai Santi Quirico e Giulitta voluta dal Primicerio Teodoto. Siamo alla metà dell’VIII secolo durante il pontificato di papa Zaccaria (741-752).

I due affreschi rappresentano una Crocifissione ed una Madonna in trono tra i santi Quirico, Giulitta, Paolo, Pietro, Papa Zaccaria e, di dimensioni più piccole, il committente, appunto il primicerio Teodoto.

Se però il mosaico è fedele nella riproduzione all’affresco della Crocifissione, tutt’altra situazione vale per la seconda scena. Infatti l’affresco originale ha perso buona parte della sua zona centrale e dunque la Vergine con il Bambino, San Pietro e San Paolo sono stati realizzati tentando una ricostruzione coerente con i canoni di quei secoli. Questo secondo mosaico di distaccò e cadde nel 1924 e fu ripristinato l’anno dopo.

Al di sotto del mosaico della Vergine in Trono troviamo due iscrizioni, ovvero:

SANCTA MARIA LIBERA NOS A POENIS INFERNI

MUSIVO RENIDENT IMAGINES SUAE PAENE VETUSTATE DELETAE IN TECTORIIS SANCTAE MARIAE ANTIQUAE SUPERSUNT

La prima rappresenta il titolo della chiesa. La seconda vuole sottolineare il legame tra Santa Maria Antiqua e la nuova Santa Maria Liberatrice.

Santa Maria Liberatrice – Abside

I mosaici di Santa Maria Liberatrice a Testaccio

Spiegano Claudia Barsanti e Marika Beccaloni nel loro articolo “La chiesa di Santa Maria Liberatrice: dal Foro Romano al Testaccio” come:

“La scelta di collocare un mosaico in facciata si deve all’architetto Ceradini (a cui si deve il progetto e l’edificazione della chiesa, ndr). Il primo progetto, datato tra 1905 e 1906, ideato dal pittore torinese Carlo Krattly, prevedeva una simbolica rappresentazione dell’Ecclesia e, nel comparto superiore, l’immagine della Vergine Regina in trono col Bambino affiancata dai clipei con i ritratti di Pontefici e figure di Santi.

Il progetto venne tuttavia accantonato dai Salesiani perché troppo dispendioso ed anche perché desideravano la riproduzione fedele di alcune pitture dell’antica chiesa del Foro, concepite come messaggio visivo della simbolica continuità del titolo tra i due edifici”.

Il medesimo articolo riporta anche uno stralcio dal Bollettino Salesiano, XXXII, 8, 1908, p. 232, il quale afferma che: “A Milano si lavora per i due grandi altari, a Torino per i mosaici del pavimento, a Venezia per il grande mosaico della facciata e in Roma per le ampie transenne del presbiterio, per il pulpito marmoreo, per le pile dell’acqua santa, per le grandi porte frontali di noce e borchie di bronzo, per le inferriate, per la cancellata che cingerà la chiesa, per il grande stemma papale della facciata, per tutti insomma i lavori occorrenti..”.

Scuola d’Arte dell’Abbazia di Beuron

I mosaici di Santa Maria Ausiliatrice a Testaccio sono dovuti alla Scuola d’Arte dell’Abbazia di Beuron in Germania (200 km a Nord Ovest di Monaco di Baviera). La Scuola, fondata nel 1868 da padre Desiderius Lenz si poneva come obiettivo quello di imporre nuovo vigore nell’arte sacra guardando anche alle sue origini. Dunque una filosofia coerente con gli affreschi di Santa Maria Antiqua. I monaci di Beuron lavorarono poi nuovamente in Italia sia nella cripta di Montecassino (1913) che a Villa Fabri a Trevi.

Per approfondire la Scuola d’Arte dell’Abbazia di Beuron, un interessante articolo dell’Avvenire, cliccate QUI

Non deve apparire contraddittorio che il Bollettino Salesiano indichi Venezia come luogo di realizzazione dei mosaici. I monaci di Beuron potrebbero aver disegnato il mosaico ed anche i cartoni per la sua posa in opera. Poi maestranze veneziane avrebbero materialmente realizzato il mosaico. Del resto Venezia, fin dai tempi più remoti (si pensi alla Basilica di Torcello) fu patria di mosaicisti.

Per leggere per intero l’articolo di Claudia Barsanti e Marika Beccaloni cliccate QUI

Gli affreschi e le vetrate di Santa Maria Liberatrice

Gli affreschi della abside sono dovuti a Luciano Bartoli (1912-2009). Rappresentano la Trinità nella parte alta dell’abside e l’Immacolata Concezione al di sotto di questa. Ai due lati di questi affreschi sono dipinte sei scene (tre per lato) di Salesiani e monache che compiono opere di misericordia. Sono dovute a Bartoli anche le vetrate.

Potrebbero essere dello stesso autore anche gli affreschi della prima cappella a destra. La potremmo chiamare la Cappella degli Apostoli o dell’Agnus Dei. Infatti i dodici apostoli sono ritratti nella cornice esterna della cappella mentre l’Agnus Dei nell’affresco interno. Quest’ultimo ha al centro un albero di olivo con intorno scene bibliche.

Santa Maria Liberatrice – Approfondimenti

Per approfondire i Mosaici di Roma, clicca Roma: 10 secoli di mosaici cristiani

Per le immagini di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano prima e durante la demolizione, cliccate QUI

Per un approfondimento sulla chiesa di Santa Maria Liberatrice a Testaccio, potete leggere Cathopedia cliccando QUI

Per visualizzare le foto in HD di Santa Maria Liberatrice cliccare QUI

 

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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