La Flagellazione di Sebastiano del Piombo oggi al Museo Civico di Viterbo (nella sede del Museo dei Portici in Piazza Plebiscito), oltre ad essere di per se una grande tela, ha una storia che la rende piuttosto intrigante. Vediamola insieme.
Sebastiano del Piombo: la Flagellazione di Viterbo

Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 – Roma 1447) aveva in realtà già dato sublime prova di se affrescando nella Cappella Borgherini a San Pietro in Montorio una grande ed articolata Flagellazione. Vi impiegò otto anni: dal 1516 al 1524.
Del resto Sebastiano Luciani (del Piombo gli venne attribuito come soprannome quando nel 1535 divenne frate del Piombo, ovvero il Custode del Sigillo del Papato) non fu mai un artista particolarmente sensibile alla rapidità dell’esecuzione.
Ma veniamo al dunque. Mentre Sebastiano stava ultimando la Flagellazione di San Pietro in Montorio, gli arrivò la commissione per un’opera di medesimo tema ma di costruzione assai diversa (come vedremo).
Il committente ne fu il viterbese monsignor Giovanni Botonti, chierico della Camera Apostolica (ovvero membro dell’istituzione che si occupava dell’amministrazione dei beni della Santa Sede), che intorno al 1513 aveva già chiesto al Luciani di dipingere una memorabile Pietà per l’altare della sua cappella gentilizia a San Francesco alla Rocca a Viterbo. Ad essa è dedicato l’articolo Sebastiano del Piombo: la Pietà di Viterbo
Intorno al 1525 non seppe resistere a chiedere a Sebastiano del Piombo un bis, ovvero una tela dedicata alla Flagellazione che riprendesse l’impostazione di San Pietro in Montorio.
Sebastiano del Piombo e Michelangelo Buonarroti
Sebastiano del Piombo e Michelangelo Buonarroti costituirono per decenni una coppia ben affiatata. Sebastiano possedeva quell’uso veneziano del coloro che consentiva a Michelangelo di creare un concorrente al suo avversario Raffaello e quindi lo supportava per ottenere prestigiose commissioni.
Nel caso della Flagellazione di Viterbo questo rapporto emerge prepotentemente. Infatti, monsignor Botonti e Sebastiano del Piombo non si trovarono d’accordo sul compenso e proprio Michelangelo venne chiamato a derimere la vicenda.
Una lettera di Sebastiano a Michelangelo del 29 aprile 1525, ci racconta la vicenda:
“1525.29 aprile. compare mio car.mo poste salutationes: non vi meravigliate vi sia molesto nel scrivere, perché io son forzato a darvi noia perché non posso fare di manco. io ho facto una tavola di altare a mes.r Joanni da Viterbo chierico di camera, con tre figure mazor del naturale, cioè un cristo alla colonna con due figure che lo frustino, come quelle di san pietro in montorio. Et decta tavola è fornita za due mesi, come mes.r anton Francesco credo ve ne informarà, ché lui l’ha veduta, et sa quasi la nostra differentia: ché lui mi vorrebbe pagare a suo modo, et io vorrei esser pagato al mio, perché siamo obligati in forma camere una parte et l’altra, che io debio esser pagato quello è da esser stimato per due periti ne l’arte, in tanto che non c’è remedio alcuno da accordarne. Hora el decto mes.r Joanni si è delliberato a farvi iudice, et mandarvi la tavola a sue spese, et ritornarla, che vui la indichate, solamente per straciarmi a suo modo; et per alcun modo non vuol refferirsi al contrato […]”4.
Due Flagellazioni a confronto
Come abbiamo detto, le due flagellazioni di Sebastiano del Piombo sono evidentemente parenti strette ma diverse tra loro per impostazione.
Quella di San Pietro in Montorio è infatti un vasto affresco dove la struttura architettonica (e la sua prospettiva) in cui il Cristo ed i suoi carnefici sono immersi ha una significativa importanza nel contesto generale.
Viceversa, la Flagellazione di Viterbo è una tela d’altare nella quale il contesto architettonico sparisce ed il numero dei carnefici si riduce da quattro a due. Se il carnefice di sinistra mantiene nelle due opere la medesima fisionomia, quello di destra è assolutamente diverso.
Sappiamo come Michelangelo aiutò l’amico nel concepire la Flagellazione di San Pietro in Montorio:
“Onde acquistò Sebastiano grandissimo credito e confermò il dire di coloro che lo favorivano. Per che, avendo Pierfrancesco Borgherini, mercante fiorentino, preso una cappella in San Piero in Montorio entrando in chiesa a man ritta, ella fu col favor di Michelagnolo allogata a Sebastiano, perché il Borgherino pensò, come fu vero, che Michelagnolo dovesse far egli il disegno di tutta l’opera“.
Quindi, è possibile ritrovare la mano di Michelangelo anche nella tela di Viterbo ed il corpo statuario del Cristo lo dimostra appieno. Qui, però, troviamo anche la capacità tutta veneziana di usare il colore propria di Sebastiano del Piombo: una particolare congiunzione alla quale deve la sua fama.
Museo Civico di Viterbo
sede Museo dei Portici – Piazza del Plebiscito – Viterbo
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