Ogni chiesa di Roma ha i suoi tesori e San Lorenzo in Lucina, oltre alla Crocifissione di Guido Reni sull’altare maggiore può vantare una cappella opera di Simon Vouet (1590-1649) con (anche) due grandi tele: la Tentazione di San Francesco e San Francesco rinuncia ai beni del padre.
San Lorenzo in Lucina: la Cappella di Santa Giacinta Marescotti
La cappella, guardando l’altare maggiore è la penultima a sinistra prima dell’altare stesso. La basilica, originariamente a tre navate venne poi trasformandosi in un edifico a navata unica fiancheggiato da cappelle sui due lati. Se risale alla metà esatta del ‘600 e all’opera dell’architetto napoletano Cosimo Fanzago la fase finale di questa trasformazione, la cappella in questione esisteva già dal secolo precedente.
Infatti Gregorio XIII la concesse nel 1578 come cappella gentilizia a Ludovico Branca de Firmanis (+1587), maestro delle cerimonie papale, che probabilmente ne commissionò la decorazione a Girolamo Siciolante da Sernoneta (1521-1580).
Nel 1623 la cappella passò al nipote di costui Paolo Alaleone de Branca (1551-1643) il quale – ci racconta Leone Caetani nella sua opera Vita e Diario di Paolo Alaleone de Branca – nel 1582 entrò come coadiutore nell’ufficio dei cerimonieri pontifici dove rimase (divenendo anch’egli maestro delle cerimonie pontificie) fino al 1638, cioè dal pontificato di Gregorio XIII a quello di Urbano VIII.
Simon Vouet e la commissione di Paolo Alaleone
Fu così Paolo Alaleone a commissionare a Simon Vouet (che si era stabilito in Italia dal 1614 al 1627) una nuova decorazione della cappella che, sostanzialmente sopravvive fino ad oggi e che modificò radicalmente l’assetto artistico di quello spazio. Infatti, delle decorazioni del Siciolante è sopravvissuta solo la Madonna delle Grazie che vedete in alto sopra l’altare ed alla quale era originariamente dedicata la cappella.
Con l’arrivo dell’Alaleone e del Vouet, la cappella passa al titolo di San Francesco e di qui le due grandi tele delle pareti laterali: la Tentazione di San Francesco (a sinistra) e San Francesco rinuncia ai beni del padre (destra).
Simon Vouet dipinge però anche due ulteriori soggetti mariani posti al di sopra delle tele citate. A sinistra il Matrimonio della Vergine ed a destra la Visitazione.
Si dedica infine alla volta della cappella dove dipinge un Dio Padre michelangiolesco (al centro) circondato da quattro tondi con angeli musicanti e quattro scene mariane. Partendo da sinistra e muovendosi in senso orario: Nascita della Vergine, Presentazione al Tempio, Annunciazione, Assunzione. Nel trionfo degli stucchi bianchi e oro, certamente una volta pregevole.
Nel 1726 viene beatificata Giacinta Marescotti ed i Ruspoli, ai quali nel frattempo la cappella era stata concessa, decidono di dedicarla alla santa con la quale erano imparentati. Di qui, nel 1736, al commissione a Marco Benefial della tela sull’altare “San Francesco appare alla beata Giacinta Marescotti sul letto di morte”. Di inizio ‘800 le specchiature con figure di santi dovute a Francesco Manno.
Simon Vouet a San Lorenzo in Lucina: Tentazione di San Francesco
Nonostante la difficoltà di apprezzare le tele del Vouet per le precarie condizioni di luce, i riflessi ed il generale stato di conservazione (nonostante il binocolo), è con tutta probabilità la Tentazione di San Francesco l’opera più felice.
La storia è quella della tentazione a cui il diavolo sottopone San Francesco nell’eremo dei frati di Sarteano. Una tentazione della carne a cui il santo resiste prima flagellandosi e poi gettandosi nudo nella neve.
Come spesso accade… il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge. Infatti, è proprio l’apparizione del malvagio nelle vesti di donna il punto di forza della tela.
Nel chiaroscuro illuminato solo da una torcia (nello stile dei numerosi pittori alla luce di candela seguaci del Caravaggio) Vouet rappresenta una giovane donna avvolta in un’ampia tunica blu bordata di pelliccia con al di sotto una veste bianca.
Non c’è niente da dire. Bella la movenza, impeccabile la veste con le sue maniche, un piccolo tesoro la scarpa rosa con il fiocco ed il nastro viola dai fronzoli oro che si adagia sul pavimento. Chissà quanti particolari metterebbe in luce un restauro degno ed un’esposizione decorosa (ad esempio i capelli della donna). Ma tant’è: tocca, come spesso purtroppo accade, accontentarsi.
Ha scritto di Simon Vouet lo storico dell’arte Giuliano Briganti (curatore anche di una mostra sul maestro franco-romano):
“E’ indubbio comunque che il Vouet fu fortemente attratto nel suo primissimo tempo romano dal mondo caravaggesco e dai suoi temi. E’ certo che subì fortemente il fascino di un approccio naturalistico con la realtà, il fascino di una pittura densamente intrisa di vita, una pittura, vorrei dire, di carne e di sangue….Ma ben presto, pur restando fedele ad un modo di dipingere intensamente naturalistico e a una pittura di valori, mi sembra si possa dire che Vouet si allontani progressivamente dal caravaggismo più stretto… per elaborare invece un suo stile più complesso, più colto più attento ai richiami classici. Soprattutto rivolto ad un diverso tipo di committenza. Ma non per questo meno forte, meno attento alla realtà”.
Ovviamente Vouet non può essere direttamente paragonato al Merisi (come non lo può nessun seguace del Caravaggio) a meno di non volergli fare coscientemente un torto.
San Lorenzo in Lucina visita
Resta, però, un signor pennello e se siete nelle vicinanze di San Lorenzo in Lucina, entrate nella chiesa. Vi troverete il nostro Simon, quel capolavoro che è la Crocifissione di Guido Reni sull’altare maggiore, il busto di Gabriele Fonseca per lo scalpello di Gian Lorenzo Bernini (Cappella dell’Annunziata) ed una grande tela di Carlo Saraceni dedicata a San Carlo Borromeo (prima cappella a sinistra. Insomma… una basilica romana è sempre una basilica romana.
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