Che la Venere di Urbino di Tiziano Vecellio (1480-1576) sia opera di grande fascino e raffinatezza è fatto noto. Viceversa da sempre si discute circa la natura dell’opera e chi ne fosse il committente.
Tiziano la Venere di Urbino
La Venere di Urbino attrae chi la guardi utilizzando diverse armi: la bellezza senza tempo della donna che vi è ritratta, la sensualità assoluta, provocante, dell’intera situazione, la qualità pittorica. Ma, da qualche tempo, grazie ai più recenti studi archivistici, anche grazie alla sua storia particolarissima.
Infatti, per decenni, se non per secoli, si è discusso circa la natura dell’opera e di chi fosse il committente. Per lungo tempo si è così pensato che la Venere di Urbino fosse stata commissionata da Guidobaldo II della Rovere (1514-1574) come quadro nunziale in occasione del suo matrimonio con Giulia Varano, duchessa di Camerino. Un’opera di palese erotismo, ma anche caratterizzata da una simbologia specifica (ad esempio, il cane ai piedi della Venere) che evoca la fedeltà matrimoniale. Un’opera, in pratica, concepita per indicare alla giovanissima moglie la via da seguire verso i doveri ed i piaceri della vita coniugale.
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La Venere di Urbino: la vera storia
In realtà, oggi, due lettere coeve all’opera gettano una luce diversa sulla sua storia. La prima risale al dicembre 1534. E’ Tiziano che scrive a Vendramo, camerlengo del Cardinale Ippolito de’ Medici (1511 – 1535) del quale il medesimo Tiziano aveva appena completato il ritratto oggi agli Uffizi.
Tiziano spiega a Vendramo che stava per inviare al cardinale il “quadro de una dona” (la Venere di Urbino) ma che non aveva potuto ancora farlo perché alla sua bottega era nel frattempo arrivato il Cardinale di Lorena anche al quale Tiziano aveva fatto il ritratto e che aveva voluto che il pittore veneziano gli realizzasse copia del “quadro de una dona” di cui sopra.
Il colpo di scena
Ma il 10 agosto del 1535, a soli 24 anni, Ippolito muore ed il quadro de una dona rimane nella bottega di Tiziano. Ed ecco il colpo di scena. Tiziano è il ritrattista dei grandi ed anche dei genitori di Guidobaldo: Francesco Maria della Rovere ed Eleonora Gonzaga. Così anche il giovane duca si fa ritrarre da Tiziano con l’accordo che a far fronte alla spesa sarà sua madre.
Nella bottega del maestro veneziano vede la Venere e se ne innamora, ma non ha i soldi per comprarla. Viceversa, Eleonora Gonzaga non è intenzionata a far fronte al desiderio del figlio. Questi nel marzo del 1538 scrive al suo ambasciatore a Mantova. Il messaggio è semplice: deve convincere Tiziano a dargli sia il ritratto che la “donna nuda” fidandosi della sua parola.
Non sappiamo come riuscì a far fronte a quanto dovuto a Tiziano – forse addirittura impegnando qualche sua proprietà, poiché il momento non era finanziariamente dei migliori – ma fatto sta che entrò in possesso di ambedue le opere.
Dunque, contrariamente a quanto si è sempre creduto, il committente della Venere di Urbino non sarebbe Guidobaldo della Rovere ma Ippolito de’ Medici e la donna ritrattavi non incarnerebbe le gioie e le delizie del matrimonio ma, per dirla con il grande storico dell’arte Antonio Paolucci (il quale da sempre era di altro avviso): “Il dipinto di Tiziano…è esattamente quello che vediamo e che vuole essere: la rappresentazione di una giovane donna amorosa nella sua carnale e tenera bellezza”.
La Venere di Urbino arriva alla Galleria degli Uffizi
Vittoria della Rovere (1622-1694), ultima discendente della sua casata, sposò nel 1634 suo cugino il granduca di Toscana, Ferdinando II de’ Medici. Nel 1631 la Venere era in realtà giunta a Firenze anticipando il matrimonio con altre circa 500 tele rappresentanti la collezione dei Della Rovere. Dal 1694 si trova agli Uffizi.
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