L’Ultima Cena di Tintoretto nella chiesa di San Trovaso a Venezia non può che colpire chi la osservi. E ciò per diversi motivi.
Infatti, nell’immaginario collettivo, la rappresentazione dell’Ultima Cena assume i caratteri della solennità, dell’assoluta sacralità. Questo a partire dalla compostezza delle figure e dell’ambiente che le ospita.
Ultima Cena di Tintoretto a San Trovaso: verismo caravaggesco
Tutto il contrario per quest’opera di Tintoretto. Iniziamo dal luogo: deve trattarsi di una locanda anche molto popolare.
Gli apostoli non sono posti ordinatamente intorno alla tavola ma c’è chi è in piedi e chi in seduto discosto. La loro gestualità, le loro posizioni, non hanno nulla di ieratico, tutt’altro.
Il momento è quello nel quale Gesù rivela che qualcuno di loro, di lì a poco, lo tradirà. Lo sgomento traspare immediatamente. L’apostolo alla sinistra di Gesù è riverso sulla tavola. Quello alla sua destra – Pietro? – sembra voler dire: “non sarò io Signore!”
Addirittura, una sedia è per terra. Forse, un apostolo si è alzato di scatto per accorrere accanto a Gesù.
Una prospettiva particolare
L’asse del dipinto è particolare. Lo sguardo va immediatamente su Gesù sia per la posizione centrale che per l’abbinamento rosa e azzurro delle vesti.
Sulla traiettoria del nostro sguardo si posizionano poi il tavolo (il cui spigolo destro è rivolto verso lo spettatore generando profondità) e la testa di un apostolo.
Questi è Giuda, come rivela il fatto di non avere aureola. Ha nella mano destra un bicchiere di vino mentre con la sinistra tiene il fiasco da cui lo ha versato (oppure, ne vuol versare dell’altro). Non è azzardato pensare che Tintoretto abbia voluto rappresentare il vino per alludere al sangue di Cristo che di lì a poco verrà versato.
Tra i particolari di vita vissuta, saltano agli occhi i mantelli appoggiati sul corrimano della scala (a sinistra). A destra, invece, su uno sgabello, ancora abiti e libri.
San Trovaso: gli ospiti inattesi
In questa Ultima Cena sono presenti cinque personaggi inaspettati.
Nell’angolo a sinistra in alto è rappresentata una donna che sta filando. Probabilmente un riferimento alla caducità della vita terrena. Oppure la rappresentazione del Fato.
In una scena quanto mai ispirata al vero, un sogno si svolge alle spalle di Gesù. E’ ambientato in un’epoca antica, astratta. Difficilmente è possibile pensare che si tratti del paesaggio visibile dalla finestra della locanda. Sembra più una visione onirica. Concordemente, si ritiene che le due figure siano un profeta ed una sibilla. Alluderebbero quindi alle profezie su Gesù contenute nell’Antico Testamento e che si sono andate via via avverando.
Il paggio del mistero: Marietta Robusti?
Nell’angolo a sinistra in basso del dipinto appare un paggio. Non lontano da lui, un gatto intento a cercarsi un pasto sotto il tavolo.
Secondo alcuni, potrebbe trattarsi della figlia di Tintoretto Marietta Robusti (1552-1590 circa). Avuta da una relazione prematrimoniale, era comunque la prediletta di Jacopo Robusti (che avrebbe poi avuto altri sette figli).
Lavoravo con lui a bottega e, si racconta, che da bambina per fare ciò si vestisse da maschietto. Forse, il Tintoretto racconta proprio questo aneddoto familiare.
Un’ultima notazione. Il grande dipinto, un olio su tela (221 per 413), è posto nella Cappella del Santissimo Sacramento che si apre sulla parete destra della chiesa.
La cappella non è accessibile, quindi l’opera va guardata dal basso e di sbieco. La luce è poca ma i riflessi, guarda un po’, non mancano. Un piccolo binocolo potrebbe rivelarsi utile: un po’ di attenzione per chi ama l’arte da parte di chi custodisce l’opera sarebbe, però, certamente meglio.
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