Il Virgilio Romano è un manoscritto miniato contenente Bucoliche, Georgiche ed Eneide oggi alla Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3867). Ciò che lo rende prezioso è la sua antichità che lo pone di diritto tra i Codices Vergiliani Antiquiores.
Si tratta di un gruppo di manoscritti di tema virgiliano che per la loro raffinatezza di esecuzione testimoniano ancora in età tardoantica l’attenzione delle classi sociali più elevate per la cultura classica ed un’editoria che è in primis una forma d’arte. Tra questi codici il Virgilio Vaticano anch’esso custodito nella Biblioteca Vaticana.
Virgilio Romano: il manoscritto
Del Virgilio Romano sono arrivati fino a noi 309 fogli dei 412 originari. Ad arricchire il testo 19 illustrazioni che ne rappresentano il vero tesoro. Nello specifico, le Bucolicae sono accompagnate da miniature tabellari di formato rettangolare cinte da una cornice rossa. Fa eccezione la prima, che rappresenta Titiro e Melibeo, e vuol rappresentare i ben noti versi di esordio delle Bucoliche. Questa miniatura è eseguita in campo aperto ed è di stile assolutamente diverso da tutte le altre. Le illustrazioni di cui abbiamo fin qui parlato si trovano nei fogli 1r, 3v, 6r, 9r, 11r, 14r, 16v, con dimensioni di circa mm 247/245×175/140.
Diversa la scelta effettuata dai miniatori per Georgiche ed Eneide. Qui infatti le immagini sono a coppie affrontate ed hanno dimensioni quadrate quasi a piena pagina. I fogli che ci riguardano sono 44v, 45r, 74v, 76v, 77r, 100v, 101r, 106r, 163r, 188v, 234v, 235r. Le dimensioni sono di circa mm 232/225×230/222.
Se avete piacere di scorrere le pagine del Virgilio Romano, nulla di più facile. Cliccate Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3867)
Vergilius Romanus: la datazione
Evidentemente la datazione del manoscritto è un fatto cruciale quanto complicato. E’ necessario procedere attraverso lo studio di opere ad esso avvicinabili, delle caratteristiche dei testi e dei materiali.
Le ipotesi oggi prevalenti lo collocano alla metà del VI secolo. Siamo dunque in una fase storica dove se l’impero romano non esiste più come forma giuridica in realtà l’amministrazione, la burocrazia, le elite sociali sono ancora quelle romane.
Il dibattito sulla datazione è ben sintetizzato dai curatori della Biblioteca Vaticana: “La questione cronologica è complessa e affascinante allo stesso tempo. Alcuni studiosi, in particolare Ehrle e Lowe, lo datano al V sec. Secondo Pratesi, invece, il codice sarebbe della metà del VI sec. Tale ipotesi si basa su quelle precedenti di Traube, il quale ha studiato le ricorrenze dei nomina sacra nel testo, e di Norden, che ha individuato un verso interpolato (Aeneides VI, 242) trascritto dal copista come parte integrante dell’opera e non come nota marginale o interlineare. Il verso aggiunto sarebbe tratto dalla traduzione latina della Periegesi di Dionigi Alessandrino, quest’ultima datata alla fine del V sec.”.
Il luogo di provenienza
Anche qui le teorie sono diverse. Roma o Ravenna secondo i primi studi ma anche la Gallia dove, va detto, la produzione di codici miniati fu intensa sia sotto i Merovingi che i Carolingi. Quest’ultima è l’ipotesi formulata da Massimo Bernabò che potete approfondire cliccando “Virgil illustrated in Gaul. A Reassessment”.
Il Virgilio Romano è comunque un manoscritto che ha viaggiato. Questo in sintesi il suo pellegrinaggio sempre secondo i curatori della Biblioteca Vaticana: “Rimasto in Italia fino al IX sec., il codice fu conservato in Francia, presso l’abbazia di Saint Denis fino al XV sec., come mostrano le note ai ff. 4r e 78r. Quasi nessuna notizia si ha circa l’arrivo del codice in Biblioteca Vaticana, quando compare per la prima volta nell’inventario realizzato durante il pontificato di Sisto IV del 1475. Nel 1797, il manoscritto subì le traversie legate all’arrivo delle truppe napoleoniche in Italia, venne portato quindi a Parigi per poi essere restituito alla biblioteca nel 1816”.
Il significato artistico del Virgilio Romano
In realtà, dal punto di vista della storia dell’arte, il tema è quello di posizionare le illustrazioni del manoscritto nel percorso che lega l’arte antica a quella medievale.
Un primo punto certo è quello che, come spesso accade nei manoscritti, più mani devono aver collaborato all’opera. Un autore a se è quello che ha realizzato il primo foglio. Nel caso di Titiro e Melibeo i colori, l’ariosità, la raffinatezza dell’immagine è ben diversa dalle scene che appaiono nei fogli seguenti.
In realtà, fatta salva la prima, le immagini del Virgilio Romano appaiono più come un impreziosimento del testo che come ricerca di un’espressione artistica raffinata. Mancano di prospettiva, mentre l’arte classica ne era maestra. Mostrano una paletta cromatica non esaltante al contrario delle affascinanti cromie degli affreschi di epoca classica (vedi gli affreschi della Villa dei Misteri).
Restano però immagini legate ad una cultura classica anche se siamo già in quel percorso che porterà alla progressiva semplificazione iconografica che caratterizza i secoli della tarda antichità. A questi seguiranno poi secoli dove l’espressione artistica troverà nuova linfa sia in occidente che in oriente e ci porterà anche nel campo dei manoscritti realizzazione quali i Vangeli di Ebbone o il Salterio di Parigi.
Virgilius Romanus: quali fonti di ispirazione?
Per tornare alle illustrazioni del Virgilio Romano, mi sembrano assai interessanti le considerazioni di Massimo Bernabò che mi perdonerete se riporto in inglese:
“None of the pictures in the Vergilius Romanus appears to derive from manuscript illustration. Even the author portraits (fols. 3v, 9r, 14r), rather than following the Virgil iconography, look like the anonymous images of a young man of letters holding a scroll, that are even found outside of book illumination. Pastoral scenes on sarcophagi, mosaic pavements or in fresco paintings could have inspired the miniatures for Eclogues and Georgics (fols. 1r, 6r, 11r, 16v, 44v, 45r).
Indeed, the correspondence between the miniatures and Virgil’s text is vague. For example, in the first scene of the codex, which illustrates Eclogue I – the goatherd Meliboeus addresses the shepherd Tityrus –, we notice that the shepherd it is playing his avena (which should be a reed-pipe or a shepherd-pipe; here it is rendered as a one-pipe flute) (v. 2), while sitting, instead of recubans (v. 1), as the text requires; the tree shadowing Tityrus can hardly been identified as a fagus (v.1); Meliboeus calls Tityrus fortunate senex (v. 46), so he should have a white beard (v. 28: candidior […] barba), but is instead portrayed as a hairless boy; finally, Meliboeus is told capellas aeger protinus agere and vix ducere one of them (vv. 12-13), but he shows no evident expression of pain or sickness, nor does he resort to force to drag the goat onward.
In sum, the sources of the miniature were conventional bucolic representations, not a literal rendering of Virgil’s text. It has been noted that the distribution of figures on the page resembles that found on late antique floor mosaics 10. The same could be said of the illustration of Eclogue III (f. 44v and 45r) [fig. 3] and Aeneid IV, 160-68 – where the episode of the cave is narrated”.
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